L’escalation delle ostilità in Medio Oriente impatta sulle relazioni internazionali. Mentre l’Occidente ne risente, il blocco revisionista guidato da Russia e Cina ne trae vantaggio. Ecco i motivi, tra supply chain (e Imec), terrorismo e narrazione strategica
A quasi due settimane dall’inizio degli scontri, il conflitto in corso tra Hamas e Israele non sembra destinato a trovare rapidamente una conclusione. Questo tipo di confronto prolungato che sembra profilarsi all’orizzonte va soltanto a danneggiare la posizione degli Stati Uniti e dell’Europa, ma anche dell’India, sul piano internazionale; al contrario, Mosca e Pechino sarebbero i grandi beneficiari di tale situazione.
Gli interessi di Mosca
I vantaggi che la Federazione Russa trae dalla crisi in corso sono molteplici. Il primo è quello propagandistico: Mosca ha gioco facile nel paragonare le vittime civili causate da Israele nella sua reazione all’attacco di Hamas con quelle registrate all’interno del conflitto ucraino, sottolineando l’ipocrisia dei governi occidentali che hanno condannato duramente i massacri russi di civili in Ucraina, ma che rivolgono pochissime critiche alle azioni israeliane a Gaza. La narrazione russa si è spinta a paragonare l’assedio posto a Gaza dalle Israeli Defence Forces con i 900 giorni di assedio di Leningrado durante la seconda guerra mondiale. Mettendo così accanto Israeliani e Nazisti.
Inoltre, il protrarsi della crisi israelo-palestinese distoglie l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dal conflitto in corso in Europa Orientale. “Qualsiasi conflitto che attiri l’attenzione dall’Ucraina gioca a favore della Russia. I russi possono anche non aver iniziato, ma hanno un enorme interesse a prolungare il più possibile il conflitto in Israele. Sarebbe una vittoria per i russi dal punto di vista tattico, in Ucraina, e strategico, rafforzando la loro narrativa contro il mondo occidentale” ha dichiarato al riguardo il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis.
Mentre sul supporto materiale occidentale a Kyiv, l’impatto del conflitto in Medio oriente è molto marginale. Le necessità militari israeliane differiscono da quelle ucraine nella struttura dell’apparato bellico (molto più vicino a quello delle forze armate occidentali, contro la radice sovietica dell’esercito di Kyiv) così come nella tipologia specifica di strumenti e munizioni. Mentre la guerra d’attrito in corso in Ucraina consuma principalmente proiettili d’artiglieria, per Israele sono più importanti le munizioni per il sistema di difesa anti-missile Iron Dome, che in Ucraina sono invece poco rilevanti. La coalizione occidentale dovrebbe dunque essere in grado di riuscire a supportare entrambi gli attori alleati senza dover compiere scelte difficili.
Cosa cerca Pechino
Anche Pechino si compiace nel vedere l’attenzione e le risorse di Washington impiegate anche in Medio Oriente, oltre che nel conflitto ucraino, in quanto esse non potranno essere destinate (almeno nella stessa misura di prima) alla questione di Taiwan. E altrettanto incassa un successo contro Washington senza sparare un colpo – e magari preservando l’arsenale per un’eventuale attacco a Taipei. Anche per Pechino, l’espandersi delle aree di crisi in cui l’Occidente è coinvolto più o meno direttamente forniscono un’ottima occasione per portare avanti le proprie campagne di infowar.
Antoine Bondaz, esperto di Cina presso la Fondazione per la Ricerca Strategica di Parigi, ha rimarcato come “Ciò che conta per la Cina sono gli interessi della Cina e la cosa più importante per Pechino è il rapporto con gli Stati Uniti e il modo in cui la Cina potrebbe indebolire gli Stati Uniti e l’immagine degli Stati Uniti. Cercheranno di ritrarre gli Stati Uniti come fattore di instabilità e la Cina come fattore di pace. L’obiettivo della Cina è quello di presentarsi ai Paesi in via di sviluppo come un’alternativa, e come un’alternativa più attraente”.
Mentre le potenze revisioniste gioiscono, la comunità euroatlantica e i suoi alleati soffrono. Stati Uniti ed Europa infatti non solo vedono un aumento del rischio terroristico all’interno dei propri confini, ma temono anche che un’eventuale escalation del conflitto possa causare una disruption nella supply chain energetica, in un momento in cui le riserve mediorientali offrono una preziosa alternativa a quelle della Federazione Russa.
Il corridoio con la porta chiusa
E pesano anche le implicazioni diplomatiche del conflitto, che si è frapposto nel processo di normalizzazione in corso tra Israele e l’Arabia Saudita, il cui rallentamento potrebbe impattare su alcune iniziative di largo respiro. Prima tra tutti l’India-Middle East-Europe Economic Corridor (Imec), il grande progetto infrastrutturale atto a collegare il Mediterraneo con il Pacifico in contrapposizione alla Nuova Via della Seta, che dovrebbe transitare sia attraverso Israele che attraverso l’Arabia Saudita. Progetto in cui anche l’india di Narendra Modi ha investito molto, prendendo così posizione a fianco del blocco occidentale contro il “rivale cinese”.
“L’India ha investito molto in Medio Oriente in generale, e in particolare con Israele e con i principali Paesi arabi come gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. La normalizzazione delle relazioni tra i Paesi arabi progressisti, che cercano di sfruttare le opportunità economiche e tecnologiche per modernizzarsi, e Israele, come parte di una più ampia normalizzazione del Medio Oriente, è certamente qualcosa che l’India incoraggia, per le opportunità commerciali ma anche come costruzione politica più ampia”ha commentato Ashok Malik, presidente del dipartimento India dell’Asia Group, ed ex consigliere politico del ministero degli Esteri indiano.