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Così la Corea del Nord si ritaglia un ruolo nel sistema internazionale

Tramite l’integrazione nel blocco revisionista, Pyongyang riesce a ritagliarsi un peso come attore sul piano internazionale. Principalmente tramite l’esportazione di sistemi d’arma più o meno complicati a diversi attori

Negli ultimi decenni, una delle locuzioni maggiormente utilizzate per descrivere la Repubblica Popolare di Corea è stato quello di ‘Stato Paria’, rifacendosi al termine di origine europea con cui in passato si identificavano gli individui appartenenti alle classi sociali più basse dell’India, emarginati rispetto al resto della società. Ed effettivamente fino a poco tempo fa la Corea del Nord, seppur ricevendo supporto tanto da Mosca quanto da Pechino sin dal 1950, era quasi interamente isolata all’interno del sistema internazionale, e incapace di proiettare il suo potere all’estero.

Una situazione che gli avvenimenti degli ultimi anni stanno contribuendo a cambiare. Mentre la cooperazione internazionale globale continua a perdere forze, un grande blocco revisionista intenzionato a combattere l’Occidente e l’assetto liberale del sistema internazionale da esso costruito, sta acquistando sempre maggior vigore. Una minaccia molto significativa e complessa, sulla quale l’ex direttore della Cia Robert Gates ha fornito la sua visione, stimolando un dibattito nella comunità strategica occidentale.

A comporre questo blocco vi sono, oltre alla Federazione Russa e alla Repubblica Popolare Cinese, anche l’Iran degli Ayatollah e, ovviamente, la Corea del Nord. Che pare riuscita a sfruttare la vicinanza agli altri attori del blocco, parallelamente con l’emergere delle crisi in varie aree del globo, per riuscire a ritagliarsi un ruolo attivo nel gioco internazionale. Le principali cornici dove Pyongyang riesce ad esercitare queste velleità sono il conflitto russo-ucraino e il travagliato contesto mediorientale, dove a giocare il ruolo di almeno uno dei protagonisti sono potenze allineate alla Corea del Nord.

Che la Corea del Nord sia invischiata in Ucraina per sostenere la Russia è un dato incontrovertibile. Le recenti visite diplomatiche (come quella di del ministro Sergei Shoigu a Pyongyang, ricambiata poco dopo da un tour in terra russa da parte di Kim Jong Un) sono state occasioni preziose per discutere il rafforzamento della cooperazione militare tra i due Paesi, avviatasi già nel 2022, ma che ha visto nei mesi scorsi un netto cambio di passo. In cambio di tecnologie militari russe, soprattutto in ambito nucleare e satellitare, ma anche di cibo e petrolio, Pyongyang si è dimostrata più che felice di offrire a Mosca vaste quantità di munizioni di vario tipo e calibro da impiegare come carburante per la macchina da guerra russa impegnata in pesantissime dinamiche d’attrito. Guadagnando così risorse preziose e allo stesso tempo influenzando dinamiche di portata globale.

L’interrelazione tra Corea del Nord e Russia si è sviluppata anche sul piano dei rapporti diplomatici. Pyongyang è uno dei pochi paesi al mondo che ha riconosciuto le pretese moscovite sulla regione del Donbass, contribuendo (seppur in minima parte) al processo di legittimazione della campagna militare russa ai danni dell’Ucraina. D’altro canto, quando Seul ha annunciato di voler fornire supporto militare a Kyiv, il Cremlino ha controbattuto affermando di essere disposto a farlo a sua volta con Pyongyang. Che anche in questo caso ha agito, anche se come pedina, secondo un suo preciso ruolo all’interno del grande gioco tra attori statali. Altra nota importante è quella della proposta, rilanciata anche da Shoigu stesso, di invitare la Corea del Nord ad unirsi alle esercitazioni congiunte sino-russe iniziate proprio nei mesi scorsi.

Ma i segni di una presenza nordcoreana arrivano più lontano, fino al settore mediorientale. Nelle scorse ore le Israeli Defense Forces hanno diffuso testimonianze riguardo all’utilizzo di strumentazione militare di produzione nordcoreana da parte di Hamas, ulteriore riprova dell’alto livello di integrazione tra i membri della coalizione revisionista anti-occidentale. Tuttavia, il coinvolgimento di Pyongyang nell’area ha radici ben più lontane. Già durante gli anni ’80, mentre infuriava la guerra con l’Iraq, la Corea del Nord riforniva di armamenti il neo-khomeinista Iran. Non solo armi leggere, ma anche sistemi missilistici a cui poi Teheran si sarebbe ispirata per sviluppare i propri. Come nel caso dello Shahab-3, che ricorda molto da vicino il Hwasong-14 nordcoreano. Mentre ci sono sospetti, anche se meno suffragati da prove evidenti, di un coinvolgimento di tecnici nordcoreani all’interno degli sforzi nucleari del paese del bassopiano turanico.

Anche in Siria ci sono state tracce di una recente interferenza di Pyongyang. In particolare durante la guerra civile, quando la Corea del Nord avrebbe rifornito le forze fedeli al rais Bashar Al-Assad con missili e materiale per guerra chimica, inviando inoltre qualche centinaio di lavoratori per ricostruire il paese distrutto dai combattimenti.

Pyongyang quindi contribuisce a creare nel mondo quell’instabilità dove l’Occidente fautore di uno status quo si dissangua, in termini letterali o meno, mentre le potenze revisioniste colgono le opportunità del supposto overstretching statunitense e delle fratture interne alla coalizione avversaria. E il fatto che la Corea del Sud abbia lanciato l’allarme per una possibile azione militare di Pyongyang in seguito all’attacco di Hamas contro Israele, rende ancora più concreto questo filo rosso invisibile che lega i grandi paesi revisionisti del continente euroasiatico.


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