Chip, intelligenza artificiale, tecnologie quantistiche e biotecnologie sono le quattro aree sensibili in cui la Commissione vuole mitigare i rischi relativi all’esposizione ai rivali geopolitici (leggi: Pechino) e al technology transfer. Così Bruxelles si allinea con Washington e Tokyo
È stata l’Unione europea, nella figura della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, a introdurre il concetto di de-risking lo scorso gennaio. Questa linea di pensiero – ridurre l’esposizione delle economie europee al rischio geopolitico senza ricorrere a brutali disaccoppiamenti – si è formalizzata nella dottrina di sicurezza economica europea ed è passata all’atto pratico con l’avvio dell’indagine sulle auto elettriche cinesi e le possibili distorsioni di mercato. E martedì Bruxelles ha aggiunto un nuovo capitolo alla saga del de-risking rivelando una lista di tecnologie critiche da proteggere.
L’indicazione della Commissione comprende i prodotti avanzati nel campo dei semiconduttori, le tecnologie di intelligenza artificiale (IA), quelle quantistiche e le biotecnologie. Queste sono le aree con la maggiore probabilità di presentare i rischi più sensibili e immediati in termini di sicurezza e fuga di tecnologia, hanno spiegato i commissari per il digitale, la difesa e il commercio (Věra Jourová, Thierry Breton, Valdis Dombrovksis). Sono le più importanti tra le dieci sulla lista delle tecnologie critiche secondo Bruxelles.
Il linguaggio dei commissari è cauto e formale, parla solamente di valutazione del rischio e fa trapelare la feroce battaglia avvenuta tra gli Stati membri riguardo a quali tecnologie includere – nessuna secondo i Paesi più liberali, fino a venti per quelli più protezionisti, come rivela Politico. Le quattro tecnologie scelte sono frutto di una mediazione e lasciano spazio ad aggiornamenti futuri. La valutazione del rischio avrà carattere oggettivo e in questa fase non è possibile prevederne né i risultati né eventuali misure che saranno prese successivamente, ha specificato Bruxelles.
Di contro, l’obiettivo è chiarissimo: difendere gli interessi economici europei e limitare l’accesso degli Stati terzi ai prodotti dual-use (adatti sia all’uso civile che a quello militare). I criteri di selezione delle aree tecnologiche includono “la natura abilitante e trasformativa della tecnologia potenziale”, la rilevanza in termini di “aumenti significativi di prestazioni ed efficienza e/o cambiamenti radicali per settori”, il “rischio della fusione civile e militare” e quello che la tecnologia “possa essere utilizzata in violazione dei diritti umani”.
In sintesi, l’Ue vuole stringere le maglie sulle tecnologie attraverso cui un rivale può aumentare la propria potenza militare e arrecare danno al blocco. Anche il “come” si può intuire: l’Ue intende perseguire l’obiettivo anche attraverso i nuovi strumenti di controllo delle esportazioni e degli investimenti, lanciati a giugno dalla Commissione per rendere attuabile la dottrina di sicurezza economica.
I risvolti geopolitici di questa lista sono due. Uno è l’ulteriore prova del fatto che l’Ue (e non solo) stiano rivalutando il totem del libero mercato a favore di una postura più attenta alla sicurezza (trans-)nazionale. L’altro è l’evidente allineamento di Bruxelles a Washington e Tokyo, che dispongono di simili liste di tecnologie sulle quali esercitano uno stretto monitoraggio delle esportazioni. Non fanno eccezione i chip e gli strumenti per produrli, con restrizioni che gli Stati Uniti stanno per espandere ulteriormente in coordinamento con gli altri due colli di bottiglia lungo la catena del valore, ossia Giappone e l’europea Olanda.
Questo allineamento strategico non si può leggere senza considerare il ruolo della Cina. La stessa Jourovà ha ammesso in conferenza stampa che Pechino “è l’elefante nella stanza”, pur sottolineando che la strategia per la sicurezza economica europea “è agnostica” e “non è diretta contro nessuno” in particolare. Dopodiché Breton ha messo nero su bianco il pensiero di Bruxelles. “Stiamo solo facendo il nostro lavoro: quando vediamo che c’è il rischio di una dipendenza eccessiva, dobbiamo agire. Naturalmente la Cina è un rivale sistemico, ma è anche un partner commerciale molto importante”.
“Non vogliamo il decoupling, vogliamo il de-risking”, non solo nei confronti del Celeste Impero ma rispetto a tutti, ha concluso Breton. Questo in virtù dei profondissimi legami economici tra Ue e Cina e considerando il pericolo che un Partito comunista cinese sempre più assertivo può rappresentare se decidesse di utilizzare le leve economiche in queste aree critiche contro l’Europa – come peraltro sta già facendo. In qualità di superpotenza economica, emergente tecnologica, è inevitabile che ci sia proprio Pechino nel mirino della Commissione europea.
Immagine: European Union, 2023