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Nel testo dei 5 cardinali perplessi si vedono solo certezze. E i dubbi?

Più che “dubia” i cardinali, secondo Riccardo Cristiano, esprimono “veritates” perché con il loro documento rivolto a Papa Francesco non sembrano dubbiosi, bensì sicuri e lo si evince anche dalla loro profonda convinzione che la fede, eterna, si basa sulla verità, anch’essa eterna, e che quindi nulla può mai mutare

C’è un tratto affascinante nei nuovi dubbi presentati da cinque cardinali avversi a papa Francesco. Seguendo i criteri che ispirano le cronache precongressuali si potrebbe dire che 5 dissidenti sono fisiologici. Ma davanti a un Sinodo credo che i dubbi non si misurano sui numeri, ma sull’importanza. Così emerge il tratto suggestivo, che sta nel nome stesso del documento che presentano: “Dubbi”. Davvero? Bisogna capirsi: appellandosi al Diritto canonico, come anni fa in occasione dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, quella che sottoponeva alla valutazione dei singoli sacerdoti la possibilità di ammettere o meno alla comunione i divorziati risposati (considerando ad esempio che un ex coniuge abbandonato è diverso da un ex coniuge che ha abbandonato, tanto per fare un esempio semplice), alcuni cardinali si rivolgono ora al papa esprimendo dei “dubia”, termine latino per dire “dubbi”. Bellissima parola.

In realtà però quella dei “dubia” è una formula prevista appunto dal diritto canonico per chiedere chiarimenti al papa, chiamato a confermare nella fede e quindi a chiarire i dubbi che assalissero i fedeli. Ma come nel caso dei precedenti dubbi su Amoris Laetitia anche quelli odierni, e relativi al Sinodo, più che dubbi sono certezze.

I cardinali in oggetto, ieri come oggi, non mi sembrano dubbiosi, ma sicuri. Questo si evince anche dalla loro profonda convinzione che la fede, eterna, si basa sulla verità, anch’essa eterna, e che quindi nulla può mai mutare. I tempi non cambiano, nulla oggi può essere meglio capito rispetto a come fu capito ieri.

Questo atteggiamento ha un suo notissimo fondamento nella storia, infatti ha riguardato Galileo Galilei, che non poteva pretendere di indurci a capire meglio cosa volesse dire la Bibbia dicendo “fermati o sole”. Cosa poteva dire se non la verità che si può capire in un modo solo, sempre e per sempre? Il povero Galileo non la pensava così, e sembra proprio che neanche l’inquisitore invero ne fosse certo, tutt’altro. Ma i tempi cambiano e la linea scelta con Galileo, sebbene con saggezza andando a ben vedere cosa fece l’inquisitore, oggi non sarebbe per quasi tutti noi la più saggia.
Andando al di là delle forme o dei titoli formali, quali dubbi ci sarebbero nei dubbi formulati da cinque cardinali? Non ci sono. Basta leggere per capire che il loro titolo più che “dubia” avrebbe dovuto essere “veritates”.

Lo chiarisce benissimo il primo dei punti indicati dai cardinali Brandmüller, Burke, Íñiguez, Sarah e Zen, affermando che il dubbio sarebbe questo: “Si chiede se nella Chiesa la Divina Rivelazione debba essere reinterpretata secondo i cambiamenti culturali del nostro tempo e secondo la nuova visione antropologica che questi cambiamenti promuovono; oppure se la Divina Rivelazione sia vincolante per sempre, immutabile e quindi da non contraddire, secondo il dettato del Concilio Vaticano II, che a Dio che rivela è dovuta ‘l’obbedienza della fede’ (Dei Verbum 5); che quanto è rivelato per la salvezza di tutti deve rimanere ‘per sempre integro’ e vivo, e venire ‘trasmesso a tutte le generazioni’ e che il progresso della comprensione non implica alcun mutamento della verità delle cose e delle parole, perché la fede è stata ‘trasmessa una volta per sempre’, e il Magistero non è superiore alla parola di Dio, ma insegna solo ciò che è stato trasmesso”.

Se ci fosse stato un dubbio ci si sarebbe chiesti se la struttura del sistema planetario secondo Tolomeo, riassunto e perfezionamento dei vari sistemi solari geocentrici elaborati nell’antichità, secondo il quale la Terra si trova al centro del sistema planetario stesso, risultando esattamente il contrario di quanto capito dal Galilei, indicasse che non avevamo capito la Divina Rivelazione, capovolgendola per via del vizio fatale del letteralismo. Lo stesso può accadere, ad esempio, a chi leggendo un altro racconto, quello di Sodoma, abbia ritenuto che Dio condannava non la mancata ospitalità verso gli stranieri, ma gli atti compiuti contro di loro, quasi a dire che respingerli sarebbe stato lecito. Anche qui, capire la Divina Rivelazione, come si capisce ormai da tempo in gran parte della teologia ufficiale cattolica e non solo, non cambia la fede, ma prende atto dell’erronea comprensione nella quale molti permangono.

L’errore però non è una colpa eterna, molto spesso è il frutto del tempo, della conoscenza approssimativa, del bisogno di semplificazione, e anche dell’urgenza di uscire da stili di vita precedenti lo sviluppo della nostra civiltà e civilizzazione, per cui anche la comprensione richiede tappe, percorsi. Quel correggere eccessi passati non implica eterizzare gli eccessi a cui si ricorre. La nostra comprensione, richiedendo percorsi, non è detto che arrivi ovunque allo stesso punto nello stesso momento, perché il tempo in cui ci troviamo varia, non è ovunque lo stesso.

In definitiva a me sembra che i cardinali del “fronte del rifiuto” rifiutino la complessità della verità, la immaginino immobile, come la terra, che invece si muove. In questo però compiono una scelta importante, invocando il dubbio, o “i dubia”, sebbene in realtà a me sembri che non ne abbiano. Il papa che ha fatto il Concilio Vaticano II e al quale i cinque cardinali si richiamano, Paolo VI, usava molto bene le parole, molto meglio di me, e quella che uno studio anglosassone ha dimostrato che amava e usava più di ogni altra è “ma”. Il “ma” per Paolo VI non era mancanza di fede, “ma” continua ricerca della comprensione e quindi della giusta via. Per questo mentre riferisco di questi “dubia” trovo davvero importante (e assai più stimolante) leggere quanto ha detto il domenicano Timothy Radcliffe: “Nel Sinodo si ha il compito creativo di fare improbabili amicizie, specialmente con coloro con i quali non si concorda”.

Senza (autentici) dubbi sarebbe impossibile. Ma se è così, se non si concorda, vuol forse dire che qualcuno dei padri sinodali non segue la Divina Rivelazione? Io non penso. Infatti dai dubbi dei cardinali mi sembra emergere la certezza, soprattutto nel penultimo quesito, che la dottrina non possa cambiare e citano Giovanni Paolo II.

È giusto, ma è anche sbagliato, visto che proprio Giovanni Paolo II attribuendo pari valore alla vita matrimoniale e a quella celibataria ha modificato la dottrina di Pio XII (Sacra Verginitas) che indicava la superiorità di quella celibataria. Si legge nell’enciclica Sacra Verginitas: “La dottrina che stabilisce l’eccellenza e la superiorità della verginità e del celibato sul matrimonio, come già dicemmo, annunciata dal divin Redentore e dall’apostolo delle genti, fu solennemente definita dogma di fede nel concilio di Trento e sempre concordemente insegnata dai santi padri e dai dottori della chiesa”. Ma Giovanni Paolo II in Familiari Consortio ha scritto: “Il matrimonio e la famiglia cristiana dunque sono in sé orientati al servizio profetico, sacerdotale e regale della Chiesa e del mondo, a partire dalla dimensione domestica ma non chiudendosi in essa, aprendo piuttosto lo spazio familiare ai bisogni della chiesa e del mondo, secondo la vocazione propria di ogni famiglia”.



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