Sin dall’inizio di questa crisi la Turchia ha cercato di gestire la propria posizione: da un lato restando un Paese sostenitore della causa palestinese , dall’altro cercando di non perdere contatto con Israele
“Hamas non è un gruppo terroristico, ma un gruppo di liberatori che proteggono la loro terra”. In un discorso al parlamento di Ankara, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha difeso i carnefici nel massacro del 7 ottobre e sferrato un attacco a Israele, accusandolo di commettere a Gaza “crimini contro l’umanità premeditati”. Immediata, ancor più dopo le parole di António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, la reazione del governo israeliano: “Hamas è una spregevole organizzazione terroristica peggiore dell’Isis”, ha tuonato Eli Cohen, ministero degli Esteri. “Le parole del presidente turco non cambieranno questo fatto inequivocabile né gli orrori che il mondo intero ha visto” quel giorno, ha aggiunto.
Erdogan ha annunciato anche di aver cancellato la sua visita prevista in Israele. “Non abbiamo problemi con lo Stato di Israele ma non abbiamo mai approvato le atrocità commesse da Israele e il suo modo di agire, simile a un’organizzazione più che uno Stato”, ha accusato il sultano, impegnato a casa sua a combattere “i terroristi del Pkk”, paragonando lo Stato ebraico a un gruppo non meglio identificato. Il leader turco ha quindi accusato le Nazioni Unite di “impotenza” di fronte alla “brutale uccisione dei bambini” palestinesi, chiedendo “a tutti i Paesi con mente e coscienza di fare pressione sul governo di [Benjamin] Netanyahu affinché abbia un po’ di buon senso”. E invocando un cessate il fuoco sulla Striscia di Gaza, ha proposto “una conferenza tra Palestina e Israele” offrendo proprio la Turchia come uno dei garanti di “un meccanismo per la risoluzione del problema”.
Come spiegato su Formiche.net, il raffreddamento da parte di Erdogan dei rapporti con Hamas è momentaneo, la linea in difesa della causa palestinese è tattica e il dialogo con Israele è strategico (pensando a Nato, Stati Uniti, Unione europea). Sin dall’inizio di questa crisi la Turchia ha cercato di gestire la propria posizione: da un lato restando un Paese sostenitore della causa palestinese (Erdogan è da anni considerato il “re di Gaza”) , dall’altro cercando di non perdere contatto con Israele, con cui ha raggiunto una fase di equilibrio anche legata al contrasto a un nemico comune, l’Iran. Ankara può (e sembra volere) ritagliarsi un ruolo nella mediazione. “Certo, né Israele né Hamas si fidano pienamente della Turchia. Ma chi altro c’è? Voglio dire, non ci sono troppi Paesi là fuori che godano della fiducia di Hamas e di Israele”, ha dichiarato Özgür Ünlühisarcıklı, direttore dell’ufficio di Ankara del German Marshall Fund, a Formiche.net nei giorni scorsi.