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Dalla Finlandia al Mar Cinese, Pechino vuole il dominio sottomarino

La Cina sta aumentando le sua attività underwater. Dai cavi internet alle varie connessioni sottomarine, per Pechino è parte della competizione con gli Stati Uniti interessarsi a ciò che accade tra i fondali del mondo

La supremazia marittima è da secoli cruciale per qualsiasi nazione o impero alla ricerca di una leadership globale. Nell’era digitale contemporanea, l’importanza del trasporto delle informazioni e dell’accesso ai dati ad alta velocità è diventata fondamentale per la prosperità economica e il potere nazionale. E nonostante i progressi tecnologici, una parte significativa della trasmissione di dati a livello mondiale si basa ancora su cavi fisici sottomarini, di cui appena 550 facilitano oltre il 95% della trasmissione globale di dati. Questi cavi sono alla base dell’Internet globale, delle comunicazioni governative e militari sensibili e di trilioni di dollari di transazioni finanziarie quotidiane.

Le pipeline sottomarine sono altamente vulnerabili. La loro protezione è limitata dal diritto internazionale, la loro posizione è spesso nota al pubblico e l’attribuzione della manomissione fisica è difficile. Ciò le rende obiettivi interessanti per il sabotaggio e lo spionaggio, soprattutto in un’epoca in cui la nostra dipendenza dalle comunicazioni digitali è in costante aumento.

Dal 2015, la Cina ha ampliato in modo significativo la propria presenza e influenza nell’infrastruttura dei cavi sottomarini. L’iniziativa della Digital Belt & Road e la strategia marittima di Pechino sono diventate strumentali a questo proposito. Per esempio, la Hmn Technologies, una società statale cinese, è salita rapidamente al quarto posto tra i fornitori di cavi sottomarini del mondo. Ha iniziato con progetti più piccoli, ma ora è coinvolta in imprese massicce come per esempio il progetto del cavo “Peace”, che collega il Sud-Est asiatico, il Medio Oriente e l’Europa.

Le società di telecomunicazioni statali cinesi detengono partecipazioni significative in circa il 20% di tutte le reti di cavi globali. Molti di questi cavi sono stati inizialmente forniti da aziende statunitensi o di Paesi partner degli Stati Uniti e si estendono oltre i confini della Cina. Ad esempio, China Mobile è uno dei principali investitori in “2Africa”, un colossale progetto di cavi che circonda l’Africa e la collega all’Europa e al Medio Oriente.

L’influenza della Cina è ulteriormente rafforzata dagli accordi di manutenzione, dalle leggi sul cabotaggio e dall’accesso fisico alle reti di cavi attraverso aziende come SB Submarine Systems (Sbss), una joint venture a prevalente a partecipazione statale — ossia sotto il controllo remoto del Partito/Stato. Le imprese statali cinesi di logistica marittima sono presenti in quasi 100 porti d’oltremare, tra cui 37 co-localizzati con le principali stazioni di approdo dei cavi, che sono punti di strozzatura cruciali. Queste stazioni di atterraggio sono sia suscettibili di attacchi fisici che preziose fonti di intelligence.

La crescente influenza della Cina sui cavi sottomarini globali solleva diverse preoccupazioni. In primo luogo, apre la porta alla sorveglianza dei dati e allo spionaggio, soprattutto in considerazione delle leggi cinesi che obbligano le aziende a sostenere gli sforzi dell’intelligence nazionale. Poi, il controllo cinese su alcune reti di cavi, in particolare nel Mar Cinese Meridionale, potrebbe permettere di paralizzare linee di comunicazione essenziali durante i conflitti. In terzo luogo, il controllo dell’infrastruttura di comunicazione globale fornisce alla Cina un’influenza economica significativa sulla scena mondiale. Infine, consente la potenziale manipolazione del flusso di informazioni, plasmando le narrazioni globali e potenzialmente soffocando le voci contrarie.

Alla luce dell’espansione dell’influenza cinese sui cavi sottomarini globali, gli Stati Uniti intendono riaffermare la loro leadership in questo settore per garantire un Internet globale sicuro e trasparente. Una prima misura è la promulgazione dell’Undersea Cable Control Act, che impedisce alle entità cinesi di accedere alle tecnologie avanzate dei cavi, salvaguardando così il vantaggio tecnologico dell’America. Inoltre, gli Stati Uniti vorrebbero rafforzare le partnership commerciali ed espandere le opportunità di investimento nel Pacifico meridionale, sfruttando i legami di lunga data con alleati come l’Australia e il Giappone per garantire che le future infrastrutture della regione si basino su sistemi di cavi affidabili.

Contemporaneamente, Pechino sta aumentando le proprie ambizioni sottomarine anche militari, sia in termini di sviluppo della flotta, sia in potenziali attività di disturbo contro rivali strategici. Affiancati ai cavi-dati, scorrono per esempio i gasdotti, altrettanto cruciali per la sicurezza energetica di intere nazioni. Con un altro esempio: il Balticonnector finlandese danneggiato richiederà cinque mesi di riparazioni per esempio, e imporrà a Helsinki — neo entrato nel club Nato, scelta che produce anche una revisione della postura di Helsinki con la Cina — una maggiore dipendenza dal Gnl. Le autorità del Paese scandinavo sospettano che dietro al sabotaggio di inizio ottobre possa esserci la Cina.

E ancora: il capo dell’MI5, Ken McCallum, ha espresso preoccupazione per i decisi sforzi della Cina di ostacolare l’accordo sui sottomarini nucleari Aukus, che mira a contrastare la crescente influenza di Pechino — anche nel dominio underwater. L’alleanza istituita nel 2021, prevede che Regno Unito, Stati Uniti e Australia condividano intelligence, tecnologia militare e forniscano all’Australia sottomarini a propulsione nucleare che complicherebbero le ambizioni subacquee cinesi. Pur non rivelando casi specifici, McCallum ha accennato alla possibilità di azioni di disturbo cinesi legate all’Aukus. Anche questo rientra nel quadro del controllo del dominio sottomarino.

Recentemente è stato annunciato l’ingresso americano nel nuovo cavo di collegamento internet, il Central Pacific Cable, che potrebbe connettere i territori americani di Guam e Samoa Amricana con Papua Nuova Guinea, Samoa, Tuvalu, Figi, Nauru, Isole Marshall, Kiribati, Isole Cook, Wallis e Futuna e gli Stati Federati di Micronesia. È parte della competizione tra le isole del Pacifico: l’Australia e la Nuova Zelanda (prossimo aderente all’Aukus) sarebbero parte del progetto. Un altro elemento per definire la complessità del tema, e dunque gli interessi attorno a esso.



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