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Non è il momento di tagliare le tasse. Il fisco meloniano visto da De Novellis (Ref)

​La filosofia che ha mosso gli interventi in materia fiscale messi a terra dal governo sarà anche condivisibile, ma serve a poco se le misure sono precarie e dall’orizzonte troppo breve. Era molto meglio assicurarsi le risorse e allestire un’operazione strutturale e di lungo periodo, dal sapore più contabile e meno politico. Il deficit non è il vero problema, quello che conta è l’interlocuzione con l’Europa. Conversazione con l’economista e partner del Centro studi Ref, Fedele De Novellis

Un fisco più amico delle imprese e delle famiglie. In un Paese con la pressione reale tra le più alte in Europa non è poca cosa. La manovra firmata da Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, reduce dai primi importanti riconoscimenti, quelli dei mercati e di Standard&Poor’s, porta in dote non poche novità sul fronte tributario, di cui si occupa direttamente il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo. Tanto per cominciare, nel 2024 le aliquote Irpef si ridurranno da quattro a tre, in attesa dell’avvento della flat tax. Ma c’è anche la conferma del taglio del cuneo contributivo di sei punti per i redditi fino a 35 mila euro che sale a sette punti per i redditi fino 25 mila euro. Fin qui la finanziaria.

Poi ci sono i decreti legislativi, che viaggiano su un altro binario, ma comunque sempre connessi alla questione tasse. In particolare, due nuovi provvedimenti appena varati dall’esecutivo, portano in dote dichiarazioni dei redditi più semplici da compilare e con un nuovo calendario per l’invio, lo Statuto dei contribuenti equiparato alla Costituzione e un garante che tutelerà i cittadini di fronte all’amministrazione fiscale. Va bene, ma tutti questi sforzi impatteranno sull’economia e sulla crescita, che già il prossimo anno non andrà, stime della Nadef, oltre lo 0,8%? O sono solo dei piccoli aggiustamenti fatti col bisturi? Formiche.net lo ha chiesto a Fedele De Novellis, partner di Ref Ricerche, istituto specializzato in analisi economica.

“Non possiamo negare una certa verticalità e profondità delle misure fiscali intraprese dal governo. Il problema è che si tratta di operazioni dall’orizzonte abbastanza breve, un anno per intendersi”, premette De Novellis. “E invece servirebbe un approccio strutturale se si vuole davvero dare man forte alla crescita, uno spazio fiscale lungo una legislatura, perché se si vogliono mettere più soldi nella busta paga dei lavoratori, non lo si può fare solo per un anno. Abbassare le tasse ha un rendimento, un guadagno politico, ma rialzarle subito dopo è molto più costoso. In questo senso, l’esecutivo avrà anche fatto bene a ridurre il cuneo, ma è anche obbligato a trovare le coperture già il prossimo anno”.

Un gioco pericoloso, secondo l’economista. “Un governo che prima abbassa le tasse e poi le alza potrebbe andare incontro a un costo politico insopportabile. Per tutti questi motivi, il sapore di questi interventi che sono comunque spot, pur capendo la condivisione della loro ratio, è tutto politico, perché strizzano un occhio alle elezioni europee. Il respiro è troppo corto, io dico, giusto tagliare le tasse ma allora facciamolo nell’arco di una legislatura, con calma, quando abbiamo i soldi, senza soluzioni raffazzonate e non solo in coincidenza di un appuntamento elettorale”.

De Novellis affronta poi il tema del deficit. Il prossimo anno l’Italia andrà incontro a un disavanzo del 4,3%, che poi altro non è che il tesoretto (14-15 miliardi) con cui finanziare il taglio del cuneo fiscale. Il problema potrebbe essere l’Europa, visto che presto o tardi tornerà in vigore il Patto di stabilità. Ma per De Novellis il vero problema non è il disavanzo. “Quello che davvero conta è la nostra capacità di interagire con Bruxelles, perché non dobbiamo dimenticare che oggi lo spread è tutto sommato basso perché la Banca centrale europea sta sostenendo ancora il nostro debito. Per questo il rapporto con l’Europa è fondamentale e non è redditizio irrigidirsi con le autorità. Però, torno per un attimo al discorso delle tasse, forse oggi non è la fase storica migliore per ridurre le tasse, perché dobbiamo ridurre il debito ed essere credibili agli occhi dei mercati. Tra quattro anni, invece, avremmo potuto avere le risorse, accantonandole e allora lì intervenire sulla pressione fiscale”.

 

 

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