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La manovra ha convinto mercati e S&P, ma sul debito non ci siamo. Parla Giampaolo Galli

Intervista all’economista e direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica. Ridurre il costo del lavoro è stata la scelta più giusta, ma attenzione a crogiolarsi sugli allori e alla differente percezione dei problemi del Paese che c’è tra mercati e agenzie di rating. Lo spread, al momento, non preoccupa ma sul debito serviva più coraggio

Standard&Poor’s poteva calare la mannaia, ma non l’ha fatto. E così anche i mercati, che all’indomani dell’approvazione da parte del governo della manovra, potevano cominciare a dare i primi, veri, segnali di disagio. Invece no, gli investitori hanno continuato a chiedere un prezzo ragionevole per comprare debito italiano, lasciando tranquillo lo spread tra Btp e Bund. Due risultati non scontati per la manovra di Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, attesa in questi giorni in Parlamento e in procinto di ricevere il parere dell’Europa (le valutazioni di Bruxelles sono attese per metà novembre).

Attenzione però, perché un conto è fare del proprio meglio con le poche risorse a disposizione, un altro è blindare la credibilità dell’Italia e delle sue finanze con una traiettoria di rientro del debito a prova di ogni dubbio, spiega Giampaolo Galli, economista e direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici in seno alla Cattolica di Milano. E forse qui un po’ più di lucidità non avrebbe guastato.

La manovra appena approvata è stata da molti osservatori giudicata, a vario titolo, basica, prudente, poco ambiziosa. I soldi erano pochi, lo sappiamo. Le pare una scelta corretta quella di concentrare il grosso delle poche risorse sulla riduzione del costo del lavoro?

La riduzione dei contributi sociali a carico dei lavoratori con redditi bassi o medio bassi mi sembra uno degli utilizzi migliori che si possano immaginare, soprattutto in questo momento, perché contribuisce a evitare che l’alta inflazione dei mesi scorsi si trasformi in una pericolosa spirale prezzi-salari. Il problema è che le risorse sono davvero poche. Apprendiamo infatti oggi che il provvedimento non è una semplice proroga di ciò che esiste attualmente, ma è un po’ più restrittivo (nel 2024 il taglio di sette punti del cuneo sarà valido fino alle retribuzioni lorde di 15 mila euro e non più di 25, come oggi, e poi andrà a scalare con l’aumento del reddito lordo ndr). Mi sembra che questa sia la strada giusta.

I mercati e Standard&Poor’s sembrano aver accolto in modo tutto sommato positivo la finanziaria. I primi, non hanno dato cenni di particolare nervosismo in questi giorni (lo spread è rimasto intorno ai 200 punti base), mentre la prima delle tre agenzie di rating ha confermato il proprio giudizio sull’Italia. Come legge il tutto?

La conferma del rating da parte di Standard&Poor è ovviamente un’ ottima notizia. Però stiamo attenti a non sederci sugli allori. Spesso le agenzie di rating arrivano in ritardo rispetto ai mercati.

Che cosa vuole dire?

Quando non si accorgono o prendono atto con ritardo dei miglioramenti di un Paese vengono criticate da tutti. Quando invece non si accorgono dei problemi raccolgono il plauso universale. Dovremmo essere un po’ più simmetrici nei giudizi e prendere atto che a volte i mercati reagiscono prima delle agenzie di rating. A volte ciò avviene per circostanze esterne, ma l’effetto ricade sempre sui Paesi ad alto debito come l’Italia. Lo spread a 200 non mi preoccupa molto, ma è un segnale da non sottovalutare specie nel momento in cui è di gran lunga il più alto di tutta l’eurozona. E in questo momento le circostanze esterne potenzialmente problematiche anche per l’Italia certo non mancano, dato che abbiamo due guerre tremende ai confini dell’Europa.

Galli, quest’anno l’Italia porterà il suo deficit al 5,2%, mentre l’anno prossimo al 4,3%. Secondo lei sono cifre, potremmo dire, pericolose in ottica di ritorno delle regole di bilancio previste dal Patto di stabilità, seppur ammorbidito? Insomma, si è giocato un po’ d’azzardo?

Il vero problema è che questi numeri per il deficit non sono sufficienti a ridurre il rapporto fra debito e Pil. La riduzione stimata dal governo per 2024 è di 0,1 punti percentuali di Pil, cioè niente. Tanto più che è basata su una previsione di crescita forse un po’ ottimistica, su obiettivi di privatizzazioni difficilmente credibili e su una stima del deflatore del Pil (2,9%) un po’ alta, dato che il deflatore dei consumi (che è un indice dei prezzi per i consumatori) crescerebbe solo al 2,3%. Inoltre da quando sono state fatte le stime della Nadef i tassi di interesse sono già notevolmente aumentati: + 50 punti base per i Btp decennali.

Non sembra un buon programma…

Negli anni successivi al 2024 la riduzione del debito/Pil è un po’ più consistente, ma i mercati credono poco a ciò che i governi dicono di volere fare in futuro: se la riduzione non avviene adesso, non si capisce perché dovrebbe avvenire domani o dopodomani. Ed è vero, come dice il ministro Giorgetti, che i crediti edilizi pesano come un macigno sulla crescita del debito, ma è anche vero che i conti pubblici godono di una congiuntura favorevole per quello che riguarda il cosiddetto effetto palla di neve: secondo le stime del governo, sia nel 2024 sia nel 2025, grazie all’inflazione, la crescita del Pil nominale è superiore al tasso di interesse medio sul debito pubblico. Questo fattore di per sé riduce il rapporto debito/Pil di 1,5 punti nel 2014 e 0,7 punti nel 2025. Quindi questo dovrebbe il momento giusto per accelerare sull’aggiustamento.

Per il governo, però, l’appuntamento con il calo del debito sembra essere rimandato.

Il segnale che arriva i mercati è quello di un sostanziale rinvio. Forse, il ministro dell’Economia ha preso atto delle osservazioni costruttive che sono arrivate da tante autorevoli istituzioni e sta cercando di ridurre la portata espansiva, ossia in deficit, della manovra. C’è ancora tempo per rimediare.


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