“Effettivamente Fratelli d’Italia ha assunto di fatto una connotazione parecchio più moderata rispetto a quella con la quale si era presentata alle elezioni dell’anno scorso”. La riforma della giustizia? “Andrà in porto per motivi di coerenza politica, ma probabilmente verrà molto depotenziata”. Intervista al politologo Carlo Galli
Fratelli d’Italia in questo momento gode di una aumentata fiducia da parte degli italiani rispetto alle elezioni dell’anno scorso. Fratelli d’Italia è un partito ormai divenuto pigliatutto, come la Dc. Così il primo anno del governo Meloni “letto” per Formiche.net da Carlo Galli, professore emerito di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università di Bologna e deputato col Pd nella XVII legislatura. Tra i suoi ultimi saggi da ricordare “Democrazia, ultimo atto?” (Einaudi), mentre ha in lavorazione in queste settimane un saggio per l’edizione Cortina di Milano sulla destra al potere.
Il governo ha la maggioranza alla Camera e al Senato e in questo momento vediamo che le opposizioni sono fortemente divise. Alla luce di questi numeri, quale il suo giudizio politico sul primo anno di governo Meloni?
Il governo Meloni gode di una discreta stabilità dal punto di vista della maggioranza parlamentare per i motivi che lei ha correttamente indicato. Ha qualche problema in più per quanto riguarda le dinamiche interne alle forze della maggioranza. Questi motivi di instabilità interna nascono soprattutto da due fattori. Il primo è l’approssimarsi delle elezioni europee che, essendo congegnate secondo il sistema proporzionale, danno vita inevitabilmente al tentativo da parte di ciascuna forza politica di differenziarsi il più possibile dalle altre. Questo sistema di voto innesca tensioni identitarie e dunque conflittuali fra le forze, non solo della maggioranza e dell’opposizione, ma anche quelle interne a ciascuno dei due schieramenti.
E il secondo?
L’altro motivo è che effettivamente Fratelli d’Italia in questo momento gode di una aumentata fiducia da parte degli italiani rispetto alle elezioni dell’anno scorso. Fratelli d’Italia è un partito ormai divenuto pigliatutto, cioè un partito che si rivolge a un elettorato moderato di centro destra e, solo per certi versi, assomiglia alla Democrazia cristiana. Effettivamente Fratelli d’Italia ha assunto di fatto una connotazione parecchio più moderata rispetto a quella con la quale si era presentata alle elezioni dell’anno scorso.
Con quali effetti?
Questo può produrre forse sconcerto da parte dell’elettorato, ma appunto i sondaggi continuano a premiare FdI. Ma di là della competizione elettorale europea, si lascia spazio oggettivo all’azione politica e propagandistica della Lega che, non a caso, si è collocata su posizioni di estrema destra e che, ancora non a caso, sia pure non vistosamente, sta crescendo nei sondaggi. Quindi un elemento di difficoltà interna c’è, tuttavia bisogna anche rilevare che vi è una sproporzione sostanzialmente di 3 a 1 sotto il profilo numerico tra Fratelli d’Italia e Lega. Il che fa poi sì che, al momento della decisione, quando si formano in Consiglio dei ministri i provvedimenti, sostanzialmente prevalga la linea di Fratelli d’Italia. Lo abbiamo visto anche sulla manovra in corso dove l’elemento identitario più forte della Lega, cioè la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, sia di fatto privo di finanziamenti.
La riforma della giustizia potrà vedere la luce grazie ad un confronto non identitario, ma centrato sui miglioramenti da apportare al comparto? Oppure teme che finirà come i precedenti tentativi?
Nutro al riguardo qualche perplessità e diffidenza, nel senso che ho l’impressione che sia qualcosa che dovrà essere portato in porto per motivi di coerenza politica, ma che probabilmente verrà molto depotenziata perché il potere della magistratura è ancora forte e quello della politica è non molto cresciuto. insomma, vi è ancora una capacità di interdizione molto notevole da parte della magistratura. Mi riferisco a quella parte di magistratura che intende conservare e far valere non solo la propria indipendenza, che è sacrosanta, ma la propria intatta capacità politica.
Più semplice giungere alla riforma del semipresidenzialismo?
Pare che la proposta governativa sia una sorta di premierato elettivo che va distinto dal premierato in senso proprio, quello inglese, che non è elettivo: il modello proposto non esiste al mondo ed è durato pochi mesi in Israele. È una forma politica che produce una enorme rigidità nell’azione di governo e nella composizione del governo. È strutturato e pensato soprattutto per impedire quelli che, nel linguaggio volgare e giornalistico, vengono chiamati ribaltoni, ovvero cambi di maggioranze, che sono in realtà del tutto fisiologici in una democrazia parlamentare. Ultimamente si ritiene che una struttura nella quale il governo è fatto cadere in Parlamento rappresenti una turpe offesa alla democrazia; e allora trova spazio l’idea che sia possibile stabilizzare un governo rendendo il primo ministro eletto direttamente dal popolo.
Bisogna chiedersi se è giusto assecondare tali processi o se invece non vanno questi processi contrastati in nome della Costituzione, secondo cui l’Italia è una Repubblica parlamentare, non una Repubblica presidenziale. E poi, in ogni caso, se ha senso stabilizzare il governo in modo così drastico, cioè sostanzialmente facendo dipendere il primo ministro dell’elezione diretta dei cittadini, bisognerebbe prestare molta attenzione alle conseguenze strutturali.
Ovvero?
Mi riferisco all’assetto del potere e alle configurazione delle geometrie che investono il ruolo del Capo dello Stato che, inevitabilmente, nella prospettiva del premierato elettivo verrebbe molto sacrificato. E dunque l’elemento di “dinamismo conservatore”, che è tipico dell’azione del Presidente della Repubblica, sarebbe sacrificato a favore di un irrigidimento della situazione politica attraverso il legame diretto fra il capo del governo e il corpo elettorale. Una prospettiva che è sicuramente in linea con le pulsioni populiste che, da tempo, sono presenti in questo Paese e che oggi sono rappresentate al governo dalla destra. Eliminare quanto più possibile il lavorio politico interno alle istituzioni e promettere così il potere diretto ai cittadini è secondo me una formulazione solo propagandistica, un impoverimento della dinamica politica.
Sfocerà in un referendum?
Meloni è una politica troppo avvertita per non vedere e sapere quanto sia stato rischioso per il suo predecessore Renzi appendere il proprio destino politico alla riforma della Costituzione. Non è certissimo che Meloni vorrà correre questo rischio, anche perché questa proposta di riforma costituzionale vuole dare una forma giuridico istituzionale a processi che sono già in atto. L’unico pericolo vero da cui questa riforma proteggerebbe il governo Meloni è appunto la sfiducia in Parlamento. Ma difficilmente tanto la Lega quanto Forza Italia farebbero un governo insieme ai Cinquestelle o al Pd e quindi non ci sarebbe di fatto un ribaltone, ma una crisi di governo senza soluzione, con ricorso alle elezioni anticipate o un governo tecnico che dopotutto farebbe il gioco politico di Meloni, capace a questo punto di gridare al tradimento. Per cui mi sembra che gli svantaggi della proposta siano di gran lunga superiori ai vantaggi.
Molti sondaggi rivelano che le prossime elezioni europee potrebbero vedere alcuni partiti, tra cui quelli che formano la maggioranza Ursula, Ppe, Psoe, in calo nelle proprie performance elettorali. In questo quadro il dialogo che aveva iniziato Giorgia Meloni con i conservatori europei con il Ppe potrà continuare?
La risposta possono darla solo i numeri. Si tratta di vedere se la maggioranza Ursula sarà proponibile e allora si farà tenendo fuori la destra italiana, o se invece sarà improponibile con uno scarto che possa essere colmato dai voti della destra italiana: in quel caso si farà pagare molto caro il proprio appoggio. Non credo che costerebbe molto a Meloni eleggere la von der Leyen, ma certamente ci sarebbe una richiesta di contropartita importante.