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Green bond per una vera transizione. La mossa dell’Europa

L’Europarlamento dice sì al regolamento che impone standard uniformi a tutto il Continente per l’emissione di obbligazioni verdi. Ora sarà più difficile per le imprese portare avanti una transizione solo di facciata

Un altro passo verso la transizione e una nuova sponda per i mercati, a cui l’Europa ha imparato ormai a rivolgersi dai tempi della pandemia. I green bond, le obbligazioni verdi garantite da Bruxelles per mezzo delle quali raccogliere denaro con cui finanziare l’addio agli idrocarburi per far posto alle energie pulite, sono ormai una realtà dentro e fuori il Vecchio Continente. Tanto da essere utilizzati anche per dare man forte a transizioni in altri contesti, come l’Africa, come dimostra l’annuncio, esattamente un mese fa, di voler rastrellare oltre un miliardo di euro dal mercato da destinare alle nuove energie.

Ora è arrivato il momento di abbattere un altro muro, quello del greenwashing. Di che si tratta? Semplicemente della strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale. Ebbene, con 418 voti favorevoli, 79 contrari e 72 astensioni, il Parlamento europeo ha adottato in via definitiva una nuova normativa per l’uso volontario del marchio green bond, il primo del suo genere al mondo.

Più nel dettaglio, il regolamento, adottato e già concordato con i governi Ue, stabilisce norme uniformi per gli emittenti di obbligazioni che vogliono utilizzare la denominazione European green bond (Eugb) per la commercializzazione dei loro titoli. Dunque, nessuno potrà più emettere obbligazioni verdi a livello comunitario senza adeguarsi agli standard della stessa Commissione. Il che ha la sua ragione. L’obiettivo alla base di questi standard è infatti duplice.

Da un lato viene consentito agli investitori di indirizzare in modo più sicuro i propri fondi verso tecnologie e imprese più sostenibili. Dall’altro lato, offrono alla società che emette il bond una maggiore certezza che il proprio titolo sarà appetibile per gli investitori interessati a integrare obbligazioni verdi nel loro portafoglio. Questo dovrebbe stimolare l’interesse per questi strumenti finanziari e sostenere il percorso dell’Ue verso la neutralità climatica.

In termini di trasparenza, poi tutte le aziende che scelgono di adottare questi standard e quindi anche l’etichetta Eugb quando promuovono un green bond, essendo così tenute a fornire tutte le informazioni su come i proventi del bond saranno utilizzati. Inoltre, devono mostrare come le emissioni di green bond contribuiranno ai piani di transizione dell’azienda nel suo complesso. Pertanto, questi standard richiedono alle aziende di impegnarsi in una transizione verde globale e, soprattutto, non di facciata.

Il mercato, comunque, c’è tutto. Dal 2007, il mercato delle obbligazioni verdi ha registrato una crescita esponenziale, con un’emissione annuale di green bond che nel 2021 ha superato per la prima volta i 500 miliardi di dollari, con un aumento del 75 % rispetto al 2020. L’Europa è la regione di emissione più prolifica, con il 51% del volume mondiale di obbligazioni verdi nel 2020. Non deve stupire quindi che ad oggi i green bond rappresentano circa il 3-3,5 % dell’emissione totale di obbligazioni.

Non è tutto. Il regolamento prevede anche che “fino a quando la tassonomia non sarà pienamente operativa, gli emittenti di un’obbligazione verde europea dovrebbero garantire che almeno l’85% dei fondi raccolti dall’obbligazione sia destinato ad attività economiche in linea con i criteri della tassonomia. L’altro 15% può essere assegnato ad altre attività economiche, a condizione che l’emittente rispetti i requisiti sulle informazioni sulla destinazione dell’investimento”.

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