Secondo il Generale di Brigata in congedo, l’operazione messa in atto da Hamas è un esempio da manuale di guerra asimmetrica. Ma la sua complessità suggerisce un intervento esterno
“L’operazione in corso non è il tipico attacco di Hamas”. Con queste parole il generale Mark Hertling, ex comandante delle forze americane in Europa, apre il suo tweet di commento sull’offensiva su larga scala lanciata dall’organizzazione terroristica palestinese nelle prime ore di sabato 7 ottobre, nella simbolica data del cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur. Offensiva che, come puntualizza il generale americano, ha mostrato di avere un grado di complessità assai più elevato rispetto alle altre azioni realizzate da Hamas nel corso degli anni.
Quello che stiamo vedendo, commenta per Formiche.net il Generale Giorgio Cuzzelli (docente di sicurezza internazionale e studi strategici all’Orientale di Napoli e alla Lumsa di Roma) è una riproposizione su larga scala dei principi asimmetrici seguiti da Samil Basaev all’interno del contesto delle guerre cecene con la Russia, e da altri prima e dopo di lui. Mirare al cuore dello Stato avversario, colpendo obiettivi civili per denotare l’incapacità dell’avversario di proteggere la sua popolazione (“missione fondativa” dello Stato di Israele sin dalla sua nascita). E in Palestina sta accadendo esattamente questo: un conflitto che si svolge secondo logiche asimmetriche, dove l’attaccante colpisce l’avversario nei suoi punti deboli per metterne in risalto le debolezze e le contraddizioni, cercando di sconfiggerlo attraverso la “manovra”, quindi non attraverso una vittoria puramente militare ma bensì tramite il cedimento del suo “fronte interno”.
Analizzando dal punto di vista di Hamas i punti di forza e di debolezza dell’avversario israeliano, prosegue Cuzzelli, ci si rende subito conto che la “missione fondativa” della protezione della popolazione civile è un punto di forza del sistema-paese israeliano, che per fare questo costruisce un sistema di difesa sia aereo (attraverso lo scudo “Iron Dome”) che terrestre. Hamas è riuscito a sfruttare le vulnerabilità del sistema di difesa nemico: tramite l’impiego di un numero così elevato di razzi, il gruppo paramilitare ha messo in atto una dinamica di saturazione, o in altre parole ha lanciato in modo quasi simultaneo un numero troppo alto di proiettili da rendere logisticamente possibile per la difesa israeliana di neutralizzarli tutti; parallelamente i miliziani di Hamas hanno penetrato la linea difensiva terrestre dove le forze di Tel Aviv erano meno concentrate, riuscendo ad ottenere successi locali che hanno però esposto la popolazione civile alla loro mercè. Infrangendo così il mito di Israele “luogo sicuro” non soltanto nelle menti della popolazione ebraica, ma anche di quella palestinese. E, con la presa in ostaggio di centinaia civili, limitando il margine d’azione del governo israeliano e costringendolo a fare scelte difficilissime.
Una realtà dei fatti che lascia presumere la presenza di un supporto esterno. E con ogni probabilità questo supporto è arrivato da Est. Il regime di Teheran, che è infatti uno dei grandi sostenitori di Hamas e lo impiega come grimaldello per sostenere i suoi interessi nella regione, ha sviluppato una dottrina strategica per il perseguimento e la tutela dell’interesse nazionale che si estrinseca proprio attraverso gli strumenti della guerra asimmetrica, considerando questo l’approccio migliore per opporsi ad attori statuali avversari con risorse e possibilità decisamente superiori. Nel corso degli anni l’Iran ha sviluppato una expertise molto forte nel settore, tanto tramite l’acquisizione di strumenti adatti che attraverso lo sviluppo di metodi molto raffinati. Esattamente come quelli impiegati da Hamas.
A quarantotto ore dall’inizio dell’operazione offensiva, gli sforzi militari palestinesi non si sono ancora esauriti. Ma a Tel Aviv già si pensa a come strutturare la reazione. Reazione che, avverte Cuzzelli, deve agire secondo gli stessi principi asimmetrici, e deve usare in modo oculato i propri strumenti cinetici. Hamas ha infatti messo il governo israeliano davanti a un dilemma difficile: una reazione troppo dura rischierebbe di alienare le simpatie dell’opinione pubblica internazionale, ma allo stesso tempo l’assenza di una reazione “evidente” è impensabile. Le colonne di Merkava per le strade servono proprio a lanciare un “messaggio”. Tuttavia la vera reazione, meno rumorosa ma più efficace, dev’essere un’azione combinata di intelligence e forze speciali volta ad eliminare la struttura portante di Hamas, così come la rete di sostegno iraniana che è la vera artefice di questa operazione.