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L’offensiva di Hamas e gli errori di Tel Aviv visti da Kuperwasser

Secondo il generale Yossi Kuperwasser, già capo della divisione ricerca dell’intelligence militare israeliana e direttore generale del ministero degli Affari strategici, l’attacco di questa mattina ha preso totalmente alla sprovvista le forze di sicurezza di Tel Aviv, e ha dimostrato quanto la strategia impiegata sino ad ora nel gestire Hamas sia fallimentare

All’alba di sabato 7 ottobre, Israele si è ritrovata travolta da una tempesta di fuoco. Cinquemila razzi partiti da oltre confine sono andati a colpire i bersagli prescelti siti in territorio israeliano, e numerosi miliziani di Hamas hanno varcato il confine tra i territori palestinesi e quello israeliano, ingaggiando numerosi scontri a fuoco con le forze di Tel Aviv. Nel caos, la risposta israeliana è stata immediata: mentre i velivoli dell’aviazione si alzavano in volo per andare a colpire i bersagli nemici, il primo ministro Benjamin Netanyahu dichiarava lo stato di guerra. Per cercare di comprendere meglio cosa stia accadendo, Formiche.net ha contattato il generale Yossi Kuperwasser, già capo della divisione ricerca dell’intelligence militare israeliana e direttore generale del ministero degli Affari strategici. Nella sua lunga carriera militare, è stato anche intelligence attaché negli Stati Uniti. Oggi è direttore della ricerca dell’Israel Defense And Security Forum.

Può aiutarci a comprendere meglio cos’è successo questa mattina?

Non è un evento totalmente “nuovo”. Due anni fa abbiamo assistito ad un’azione simile, messa in atto sempre da Hamas, ma le dimensioni erano molto inferiori. Questa volta invece è un’operazione su più larga scala portata avanti dalla Jihad islamica, con l’obiettivo di causare il maggior numero di vittime israeliane; obiettivo che sono riusciti a realizzare, sfruttando il fatto che Israele fosse convinta di avere fatto sufficiente deterrenza verso Hamas, e che l’organizzazione fosse più interessata a governare Gaza e a pensare al benessere della sua popolazione. È stato un totale fraintendimento. Hamas si è dimostrata essere quello che è: un’organizzazione terroristica islamica che si pone lo scopo di danneggiare Israele e di fare del male al popolo israeliano. Questo è il motivo per cui hanno realizzato quest’operazione. Forse le divisioni interne di Israele in questo momento hanno contribuito a spingerli all’azione, ma non possiamo esserne sicuri. Come invece possiamo esserlo del fatto che Iran e Hezbollah, con cui Hamas è strettamente legata, hanno fornito un importante supporto: hanno fornito le armi, insegnato le tattiche e le metodologie, e hanno contribuito a costruire nuovi tunnel tra i territori palestinesi e Israele. Hanno preparato tutto e hanno messo in atto l’operazione sfruttando il fatto che Israele incredibilmente ignorasse il tutto. In questo momento i combattimenti contro i terroristi di Hamas sono ancora in corso, e ci sono molte vittime. Ma dopo ci sarà la controffensiva, e questo Hamas lo sa benissimo. Eppure sembra che non gli importi, pensa che prendere ostaggi sia sufficiente a prevenire una risposta israeliano. Penso che si stiano sbagliando malamente.

Com’è possibile che i servizi di sicurezza israeliani fossero completamente all’oscuro di tutto ciò?

È troppo presto per dirlo, non abbiamo abbastanza informazioni in mano. Ma la risposta arriverà. In futuro, ma arriverà. Hamas ha fatto ricorso ad espedienti specifici per celare i preparativi, come l’evitare comunicazioni di sorta che non fossero per via orale. Ma questa mattina sono stati sparati 5.000 razzi, ed è impossibile nascondere i movimenti di una certa quantità di materiale. Abbiamo avuto gli occhi chiusi. Un terribile fallimento dell’intelligence di Tel Aviv. Dobbiamo cambiare strategia. Quella impiegata fino ad ora ha permesso ad Hamas di riarmarsi, invece dobbiamo prevenire ciò, e prevenire atrocità come quelle a cui stiamo assistendo.

Possiamo tracciare un filo immaginario tra i fatti di questa mattina e quelli del 1973?

Per alcuni fattori sì. Uno di questi è la sorpresa: non è la prima volta che veniamo presi alla sprovvista, ma mai da azioni di questa dimensione. Esattamente come 50 anni fa. Ma a differenza di allora, non vedo interesse a raggiungere una posizione di forza per negoziare come nel caso dell’Egitto di Anwar Sadat, ma un tentativo di indebolire Israele per spingerla a cedere su alcune posizioni. Cosa che non credo avverrà. Anzi, probabilmente sarà l’esatto contrario.

Oltre alle conseguenze intrinseche nell’operazione militare stessa, lei riesce a leggere in quest’azione un tentativo di Hamas di inviare un messaggio?

Assolutamente, sono più messaggi rivolti a tutti gli altri attori coinvolti direttamente o indirettamente nell’area. Ma l’efficacia di tali messaggi varierà a seconda dell’esito di questa “guerra”, che è iniziata soltanto da poche ore. Il principale è ovviamente quello rivolto all’Arabia Saudita, per cercare di dissuaderla dal portare avanti la normalizzazione delle relazioni con Israele. Quest’azione non è certo tesa a rendere Riad più benevola nei confronti di Hamas, quanto piuttosto a limitare i margini di manovra tanto dell’Arabia Saudita che di Israele. Ma come abbiamo già detto, dipende molto da come si svilupperà il conflitto. Penso invece che sia importante un forte messaggio di risposta da parte di tutti gli altri Paesi interessati, non solo verso Hamas, ma anche verso l’Iran che lo sostiene: devono capire che la comunità internazionale non può tollerare certe scelte.

Quale sarà la reazione del governo israeliano a quest’attacco? Non è difficile credere che Benjamin Netanyahu voglia usare la mano pesante, ma avrà effettivamente modo di farlo?

Forse non al 100%, ma in buona parte sì. Mettendo in atto un attacco come quello di questa mattina, Hamas ha fornito al primo ministro israeliano il casus belli perfetto per adottare misure molto più rigide rispetto a quanto fatto sino ad ora nella lotta contro le organizzazioni jihadiste. Come ad esempio un ritorno militare a Gaza, opzione che sta venendo ponderata da non pochi esponenti della leadership israeliana: il ritiro da Gaza viene adesso vista come una mossa che ha permesso ad Hamas di riorganizzare le sue forze. Ma queste sono decisioni che verranno prese in un secondo momento. Adesso la priorità è quella di respingere l’offensiva in corso, di neutralizzare gli elementi nemici che si sono infiltrati in territorio israeliano e di tutelare la vita dei civili minacciata da queste infiltrazioni. Nella seconda fase invece arriverà il momento della ‘punizione’ per Hamas, che dovrà pagare un prezzo sufficientemente alto da privarlo sia delle capacità che delle volontà di mettere nuovamente in atto un’azione simile.


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