Per Giuseppe Dentice (CeSI), il rischio è che dopo l’attacco di Hamas si apra una guerra totale, con potenziali riflessi su equilibri regionali. In ballo, per esempio, il dossier della normalizzazione israelo-saudita, aggiunge Cinzia Bianco (Ecfr)
“Siamo in guerra”, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non usa mezzi termini e se le dichiarazioni hanno un peso è questo ciò che va seguito con attenzione. L’attacco orchestrato da Hamas ha una dimensione senza eguali. Al lancio di razzi, migliaia (di cui molti intercettati dal sistema di difesa Iron Dome), si è abbinata una penetrazione di unità di élite dei miliziani di Gaza. Sono entrati negli edifici, hanno sparato per strada, hanno rapito cittadini israeliani.
Israele, un Paese estremamente attento alla sicurezza, si è lasciato sorprendere — ci saranno analisi e inchieste per comprendere come e perché.
Giuseppe Dentice, head del Mena Desk del CeSI, fa notare che sono mesi e mesi che la situazione sta andando alla deriva, e tutto si inserisce all’interno del contesto internazionale, le tensioni tra il governo e i cittadini arabi e palestinesi, le vicende nei luoghi sacri di Gerusalemme con le incursioni dei gruppi integralisti ebraici nella moschea di al Aqsa. “Un quadro estremizzato che ha fornito il retroterra a ciò che abbiamo visto in queste ore”.
“Quello che non è chiaro è capire che tipo di connessione c’è tra il lancio di razzi e l’operazione generale ‘al Aqsa Storm’ annunciata da Hamas. E dico questo perché dietro ai razzi potrebbe esserci anche la mano della Jihad islamica palestinese (Pij), che è stata già protagonista di certe operazioni”.
La Pij si è riunita nei giorni scorsi proprio a Gaza per celebrare l’anniversario della fondazione, ed è molto probabile che sapessero dell’operazione: dunque il punto è se l’azione è coordinata tra i gruppi palestinesi. Il ministero della Difesa ha annunciato un’operazione militare, “Sword of Iron”, e dunque Dentice si chiede: “Quanto si è disposti a scommettere su questo scontro totale, sia da parte di Israele che di Hamas e dei gruppi?”.
Perché? “Se ci si troverà a una guerra, una nuova guerra di Gaza, allora potremmo arrivare a un rimodellamento degli equilibri, sia dentro la Striscia che potenzialmente in tutto Israele, anche tenendo conto di quanto sta accadendo a livello internazionale: con le tensioni in Siria e tra i campi palestinesi in Libano, le normalizzazioni ad handicap tra Israele e Arabia Saudita”, risponde Dentice.
Sebbene tutto possa de-escalare nella logica del pragmatismo, un conflitto totale e frontale sembra alle porte, con conseguenze potenziali nel contesto regionale. Per esempio, come si porrà il Qatar, che ospita la leadership di Hamas fornendogli una piattaforma diplomatica a Doha? Come si ripercuoterà il tutto nei grandi equilibri regionali che coinvolgono Egitto e a Turchia per esempio, e su quelli in costruzione che coinvolgono Riad?
“Il fatto che ci siano dei legami operativi, strategici e finanziari tra Hamas e Iran è fuori discussione, dunque è lecito pensare che ci siano ripercussioni sul percorso di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita”, spiega Cinzia Bianco, analista esperta di Golfo dell’Ecfr. Per Bianco, l’operazione non è “business as usual”, e dunque ci si aspetta una reazione israeliana molto dura, che potrebbe cambiare le premesse di fondo nel processo diplomatico con Riad — che dovrebbe includere nella partita anche qualche concessioni nei confronti dei palestinesi.
“Uno dei principali obiettivi dell’Iran, sia nel rapprochement con l’Arabia Saudita sia nella geopolitica regionale è impedire un accordo di normalizzazione israelo-saudita. Va aggiunto che i sauditi non hanno una tremenda fretta nel chiudere questo accordo, contrariamente a quanto emerge, e non affronteranno troppo negativamente un rallentamento delle attività, solo che detestano che a guidarlo sia una dinamiche fuori dal loro controllo e potenzialmente influenza dall’Iran”, aggiunge Bianco.