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Adesso però Israele si guardi allo specchio

Se è vero, come è vero, che gran parte del mondo islamico tifa da sempre contro ogni soluzione della questione palestinese, è altrettanto vero che la tragedia in corso in queste ore è di nuovo “conio” sotto molti profili e impone anche a Israele, alla sua classe dirigente ed alla parte della comunità internazionale che la sostiene, un’analisi profonda dell’accaduto

La strategia terroristica di Hamas non trova giustificazioni di alcun genere e deve essere contrastata con ogni mezzo disponibile colpendone in ogni angolo del pianeta vertici politici ed operativi, ma questo non significa che tutti dobbiamo portare il cervello all’ammasso, perdendo così ogni capacità di analizzare il più lucidamente possibile i fatti in divenire e le prospettive future.

E se è vero, come è vero, che gran parte del mondo islamico tifa da sempre contro ogni soluzione della questione palestinese, è altrettanto vero che la tragedia in corso in queste ore è di nuovo “conio” sotto molti profili e quindi impone anche a Israele, alla sua classe dirigente ed alla parte della comunità internazionale che la sostiene un’analisi profonda dell’accaduto.

La questione è politica, è militare, è economica.

È politica perché il sistema istituzionale israeliano sbanda da anni in modo pauroso, dentro una faida di partiti e correnti che divide in modo feroce nuovi e vecchi sostenitori di Benjamin Netanyahu da nuovi e vecchi oppositori dello stesso Primo ministro, in un balletto di alleanze parlamentari in cui le componenti più radicali finiscono per prevalere quasi sempre, portando, tra l’altro, a risultati grotteschi, come quello di avere un “falco” assoluto come Itamar Ben-Gvir (da anni sostenitore della strategia del “pugno di ferro” contro i palestinesi) nel ruolo di ministro per la Sicurezza Nazionale in carica proprio nel momento di storica debacle di intelligence, esercito e forze di polizia, con centinaia di morti, migliaia di feriti, un numero imprecisato di persone rapite e l’integrità territoriale dello Stato violata con una facilità che apre scenari drammatici per il prossimo futuro.

La politica israeliana si è divisa negli ultimi mesi (ma anche più indietro) su una controversa riforma in materia di giustizia, mostrando al mondo una frattura che va molto al di là di una contrapposizione democratica: quella che da un anno si vede in tv e sui social altro non è che la rottura vistosa e forse insanabile di quella comune identità nazionale che è da sempre la vera forza d’Israele, ma che ora appare indebolita o forse moribonda sotto i colpi di una battaglia politica senza esclusione di colpi.

Qui non si tratta di decidere chi ha ragione, sia chiaro. Si tratta di capire che questa divisione brutale (con o contro Netanyahu) diventa immediatamente debolezza, vulnerabilità. E siccome la storia non perdona, ecco arrivare gli spaventosi fatti di queste ore.

Ma la questione è anche militare, eccome se lo è. Perché adesso la palla è nel campo di Gerusalemme. E perché lì si trova con il dovere di prendere decisioni dalle pesanti conseguenze. Parliamoci chiaro: il fronte mussulmano pronto a dialogare con Israele sa che ci dovrà essere una risposta dura, ma può sopportarla per un tempo limitato. E comunque nessuna persona dotata di buon senso può auspicare l’occupazione militare via terra della striscia di Gaza. Quindi l’equilibrio nella reazione sarà molto importante. Ma proprio per questo il dilemma operativo è di massima complessità. Con una nota finale: i sistemi di difesa aria-terra-mare, pur nella loro storica preparazione e dotazione tecnologica, si sono dimostrati clamorosamente insufficienti, fornendo così un sostanziale incoraggiamento ad azioni future ancor più aggressive.

Infine c’è un gigantesco tema economico. La crescita esponenziale delle economie del Golfo e più in generale del mondo islamico, pur non omogenea, rende Israele con i suoi 9,5 milioni di abitanti e i suoi 500 miliardi di dollari di Pil una media potenza dell’area (il Pil dell’Arabia Saudita supera i 1.000 miliardi, pur dipendendo il lago misura dal petrolio, e quello della Turchia supera i 2.000 miliardi). Se si combina tutto ciò con gli aspetti demografici si capisce perfettamente che la risposta in termini di confronto militare non è la soluzione. Per quanti miliziani di Hamas può eliminare l’Idf ne stanno crescendo di nuovi con il moltiplicatore, lo capisce anche un bambino.

E allora la questione palestinese non può essere risolta dal solo Israele, semplicemente perché essa è troppo grande.
Ma Israele ha il dovere di guardarsi dentro con coraggio, perché fingere di non vedere e non capire non è solo stupido: è criminale.

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