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Cosa (non) unisce i fronti in Israele e Ucraina. Parla Ian Lesser

Il vicepresidente del German Marshall Fund spiega come, pur essendo collegate, le due questioni strategiche rimangono diverse per l’Occidente, che deve affrontarle entrambe ma con gli approcci e gli strumenti rispettivamente più adatti

L’offensiva terroristica di Hamas e il riaccendersi delle tensioni israelo-palestinesi, mentre il conflitto in Ucraina è ancora in corso, incrementano l’instabilità ai confini dell’Europa e dell’Occidente. Ma tra i due teatri ci sono delle interdipendenze? Formiche.net lo ha chiesto a Ian Lesser, vicepresidente del German Marshall Fund.

Una delle questioni sollevate durante il dibattito pubblico nei giorni scorsi è che lo scoppio della crisi in Medio Oriente potrebbe ridurre l’attenzione della comunità occidentale verso l’Ucraina. Lei cosa ne pensa?

L’attenzione dell’opinione pubblica (e non solo) verso l’Ucraina era già in una fase calante, prima ancora dell’offensiva di Hamas. Non vedo motivo per cui ci si debba preoccupare che la questione mediorientale possa dare avvio a un processo di disinteresse, in quanto tale processo era già iniziato. Inoltre, quella dell’Ucraina e quella israelo-palestinese sono due questioni strategiche diverse, che devono essere gestite separatamente. Certo, in caso di escalation in Medio Oriente, come per esempio un intervento diretto dell’Iran contro Israele, le cose cambierebbero. Ma al momento rimangono due questioni distinte.

Quali sono le principali differenze tra le due situazioni?

Vi è una totale differenza di approccio. Nel caso ucraino, gli Stati Uniti e i suoi alleati devono rifornire le forze armate di Kyiv con materiale sufficiente da permettere loro di portare avanti lo sforzo bellico contro l’invasore russo. Nel caso di Israele, il sostegno è principalmente politico e diplomatico. La decisione di inviare la portaerei Ford accompagnata dal suo carrier group è finalizzata a garantire il supporto politico a Tel Aviv, oltre che a prevenire l’escalation.  Se dovesse avvenire, non è da escludere un intervento militare diretto dell’Occidente. Cosa che invece in Ucraina non può e non deve assolutamente succedere.

Possiamo dire che la Nato si debba occupare di un conflitto convenzionale come quello ucraino, mentre la questione mediorientale debba essere approcciata da altre piattaforme?

Non credo che ci debba essere una demarcazione così forte. Certo, la Nato (così come l’Unione europea) hanno fino a ora affrontato la questione del terrorismo e della lotta contro di esso in modo più episodico, anche perché nascono con altre priorità. Ma adesso è necessaria un’attenzione più costante a questo fenomeno.

Quale crede che sia il ruolo di Teheran all’interno dell’attuale confronto tra Hamas e Israele?

Il ruolo dell’Iran in questo contesto non è ancora chiaro. Certo, Teheran ha supportato per molto tempo gruppi come Hamas e Hezbollah. E i materiali impiegati in quest’azione sono in buona parte iraniani. Quindi un contributo iraniano, diretto o meno, c’è stato. Ma questi ultimi eventi hanno delle controindicazioni per Teheran. Questa crisi aumenta l’attenzione sullo sviluppo delle capacità nucleari iraniane, e nel breve periodo dovremo aspettarci una crescita delle pressioni internazionali atte a evitare che l’Iran diventi uno Stato nucleare. E in questo senso, anche un intervento armato non è da escludere.

E quello di Mosca?

Sinceramente non credo che ci sia Mosca dietro all’offensiva di Hamas. Certo, la Russia trae soltanto benefici dall’esplodere di questa crisi. Ma è difficile credere che abbia contribuito in modo attivo.

Un altro attore molto attenzionato in questo momento è Hezbollah, che finora si è limitato soltanto a piccole azioni dimostrative. Potrebbe optare per un impegno più massiccio?

È vero, fino a ora si è limitato a piccoli attacchi. Ma Hezbollah ha capacità militari molto più significative di quelle di Hamas, e se decidesse di impiegarle potrebbero esserci delle conseguenze. Un intervento diretto in territorio israeliano potrebbe causare l’intervento statunitense.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è recato a sorpresa Bruxelles in occasione del gruppo Rammstein. Cosa ci si deve aspettare da questo consesso?

Decisioni concrete, atte a rassicurare l’Ucraina sul sostegno futuro. Con l’avvicinarsi della stagione invernale, la controffensiva andrà presto a esaurirsi, senza aver raggiunto gli obiettivi prefissati. La guerra andrà avanti, e l’Occidente deve mostrarsi coeso nel sostenere Kyiv. Non solo dal punto di vista militare: basti pensare alla questione del Mar Nero.

La questione ucraina avrà sicuramente un impatto sulle competizioni elettorali del prossimo anno. Crede che anche la crisi in Medio Oriente possa avere lo stesso effetto?

Dipende. In America la questione ucraina avrà un impatto, ma a essere oggetto di dibattito sarà l’aspetto quantitativo degli aiuti a Kyiv. Sul Medio Oriente invece penso che, come con la Cina, ci sarà un consenso bipartisan a favore di Israele. In Europa la situazione è diversa: c’è il rischio che si verifichino atti di terrorismo in sostegno all’azione di Hamas, o anche soltanto ispirati da esso. Questi fenomeni porterebbero a una fortissima radicalizzazione e polarizzazione dell’elettorato europeo, come già avvenuto in passato.


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