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L’Italia può avere un ruolo cruciale nei Balcani. Scrive l’amb. Castellaneta

Il nostro Paese, anche per le millenarie comuni radici storiche e culturali, e l’Unione europea tutta dovrebbero cercare di agevolare il più possibile l’ingresso dei Paesi candidati. Il commento di Giovanni Castellaneta, già consigliere diplomatico a Palazzo Chigi e ambasciatore negli Stati Uniti

In un periodo in cui le tensioni geopolitiche sembrano moltiplicarsi senza soluzione di continuità, e in cui il mondo assomiglia sempre più a un vulcano in ebollizione per le numerosissime aree di crisi (dall’Ucraina al Sudan, dal Nordafrica al Nagorno-Karabakh, passando ovviamente per il Medio Oriente), viene da chiedersi dove potrebbe scoppiare il prossimo focolaio. Un’attenzione particolare, soprattutto da parte italiana e dell’Unione europea, dovrebbe essere riservata ai Balcani occidentali, regione in cui l’equilibrio rimane sempre fragile e precario nonostante ci sia pace da ormai 24 anni, ovvero da quando terminò la guerra in Kosovo.

Quanto accaduto nei giorni scorsi, ovvero la decisione di sospendere il trattato di Schengen in diversi Paesi dell’Unione europea e in particolare nella regione balcanica (tra Italia e Slovenia e tra quest’ultima con la Croazia) è un primo segnale da non trascurare. Il ritorno dell’emergenza terrorismo in seguito alla ripresa degli scontri tra Israele e Hamas è un fattore che ha giustamente invitato i governi europei alla cautela; tuttavia, la sospensione di una libertà fondamentale (quella di movimento) tra i Paesi che fanno parte dei Balcani occidentali (e che sono però una rotta di passaggio di molti migranti da Est, con il rischio di infiltrazioni di estremismi islamici) non è un elemento trascurabile. La sospensione (che dovrebbe essere temporanea, per il momento di soli dieci giorni) di Schengen sembra in realtà la punta dell’iceberg di forze sotterranee che spingono silenziosamente per far saltare l’equilibrio nella regione: da una parte la Russia, che ha nella Serbia un alleato importante nell’area, dall’altra il fondamentalismo islamico, che qui potrebbe attecchire in maniera significativa data la presenza di un’ampia popolazione di religione musulmana in Bosnia-Erzegovina, Kosovo e Albania.

In questi anni, il “vaccino” più resistente a queste spinte centrifughe e disgreganti è stata proprio la presenza dell’Unione europea. Non è un caso se la Slovenia, primo Paese della regione balcanica a entrare nell’Unione europea, è oggi caratterizzato da un’economa dinamica e con un elevato livello di benessere. Per non parlare della Croazia, ultimo arrivato nella “casa” europea e che da quest’anno gode anche della stabilità macroeconomica e finanziaria offerta dall’adozione della moneta unica. Proprio pochi giorni fa mi trovavo nella bellissima Dubrovnik (l’antica Ragusa di veneziana memoria) e pensavo che, dove una volta c’erano combattimenti e bombardamenti, oggi ci sono invece stabilità e benessere. E l’adesione di questi Paesi a Schengen è stata anche cruciale per favorire una maggiore integrazione bilaterale e mettere definitivamente da parte tensioni e risentimenti reciproci.

Ecco perché Italia in particolare, anche per le millenarie comuni radici storiche e culturali,  e l’Unione europea tutta dovrebbero cercare di agevolare il più possibile l’ingresso dei Paesi candidati: a oggi in lista d’attesa ci sono Albania, Bosnia, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia. La membership di questi Stati all’Unione europea porterebbe senz’altro benefici – in un’ottica di medio periodo – dal punto di vista economico, favorendo crescita e sviluppo e scoraggiando i flussi di immigrazione illegale. L’Albania, per esempio, pur non essendo ancora entrata a far parte dell’Unione europea, ha intrapreso un percorso virtuoso e non è un caso se l’emigrazione verso l’Italia si è interrotta e anzi i flussi si sono invertiti (quantomeno a livello turistico!). L’allargamento ai Balcani occidentali dovrebbe essere dunque una priorità per espandere e rafforzare – non per indebolire – lo spazio di sicurezza europeo. Un processo che può essere favorito dalla cooperazione già esistente attraverso organizzazioni come l’Iniziativa Adriatico-Ionica (Iai) o l’Iniziativa Centro Europea (InCE), di cui l’Italia è membro centrale e molto attivo e in cui potrebbe giocare un ruolo fondamentale per porsi come punto di riferimento dei Paesi della regione.


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