La guerra a Gaza, sommata al perdurare della guerra in Ucraina, garantisce il governo. Ma sta emergendo una spaccatura culturale profonda in mezzo all’Europa su quale atteggiamento tenere con Israele e Hamas
È certo vero, come dice Luigi Bisignani, che la guerra a Gaza, sommata al perdurare della guerra in Ucraina, garantisce il governo. Durante la bufera non si cambia il capitano, come del resto accadde al governo di Giuseppe Conte salvato sull’orlo del baratro dal Covid-19.
Ma forse c’è qualcosa di più profondo in gioco, come nota Stefano Folli oggi. C’è una spaccatura culturale profonda in mezzo all’Europa su quale atteggiamento tenere con Israele e Hamas. Ciò poi si innesta sui rigurgiti di antichi pregiudizi antisemiti e su legittime perplessità per le passate azioni di alcuni governi israeliani.
Si compone così una mistura infernale che ingenuamente o surrettiziamente giustificano Hamas e non versano una lacrima sul suo spietato e orrifico attacco terroristico contro civili a casa o in festa.
La mistura non è sola, ma arriva su un’altra spaccatura profonda che sta lacerando l’Europa da un anno e mezzo, quella della guerra in Ucraina.
La divisione di campo coincide spesso, chi è freddo con l’Ucraina è solidale con Hamas e viceversa. Le ragioni sono diverse ma pare che si rinforzino a vicenda. Si approfondisce così il fronte culturale di una nuova guerra fredda dove sì, c’è la Cina, lontano, all’orizzonte, ma ci sono tante battaglie che si combattono intorno al grande Mediterraneo.
Qui c’è il rischio che esplodano di nuovo gli scontri tra Serbia e Kossovo, ma soprattutto l’Italia può tornare campo di battaglia nel cuore dell’Europa.
In Italia, forse come in nessun altro Paese europeo, le spaccature culturali sono gravi e travolgono e inquinano il dibattito pubblico. C’è una fragilità culturale prima che politica che si innesta con una situazione economica molto traballante.
L’esplodere in mezzo mondo di proteste a favore di Hamas forse non è da ridurre a un complotto qualche grande vecchio a Dubai o nella Striscia di Gaza. È da ricondurre, più profondamente e gravemente al contagio culturale di alcune parole d’ordine che si diffondono oggi su Internet molto meglio che ai tempi dei giornali di carta.
Questo contagio culturale è forte in Italia ed appare incontrollato. Quindi forze internazionali, per mille motivi, potrebbero cercare di fare esplodere la situazione italiana spingendo sulla facile leva del debito o delle tante tensioni sociali in ebollizione.
Il paradosso finora è stato che il governo, pur avendo interesse alla propria permanenza al potere, e quindi in teoria a calmare le acque; invece, è stato forse il più forte animatore di ogni tipo di polemica. Tali controversie non colpiscono le opposizioni, che anzi sono legittimate da ciò, ma feriscono per prime il governo di Giorgia Meloni.
Soprattutto tali polemiche creano il carburante altamente infiammabile che nutrono la fiamma della battaglia culturale in corso.
Al di là dei calcoli di breve tempo, il governo dovrebbe cominciare a voltare pagina sul filone delle polemiche incendiarie. L’ingresso dell’esercito israeliano a Gaza è solo una tappa di un processo che è molto più largo e che andrebbe arginato e fermato.
La “conquista” culturale dell’Italia poi è una medaglia preziosa. Culla della civiltà occidentale, dagli antichi greci, passando per Roma e il Rinascimento, fino alle soglie dell’illuminismo, l’Italia è l’àncora culturale profonda della potenza incombente, gli Stati Uniti, ma anche di una potenza concorrente, la Russia, con capitale Mosca, la terza Roma.
Ma questa culla culturale si è quasi desertificata e può essere terra di conquista di ogni estremismo e faciloneria. Da qui vengono gli scossoni più profondi e drammatici per il Paese e il governo.