Con la vittoria sul candidato di Mosca nella corsa all’Itu, Washington ha rilanciato il suo impegno nelle organizzazioni internazionali. Una svolta importante per due ragioni. Ecco quali
Un anno fa gli Stati Uniti hanno vinto una importante battaglia di libertà. Mi riferisco alla nomina di Doreen Bogdan-Martin a capo dell’Itu, l’agenzia delle Nazioni Unite per le telecomunicazioni che ha sede a Ginevra. La vittoria della candidata statunitense è stata schiacciante: molto netta 139 voti su 172, contro il candidato russo Rashid Ismailov.
La scelta di Bogdan-Martin è stata molto importante per due ragioni essenziali.
La prima è che l’Itu costituisce da molti anni un potenziale vettore di “balcanizzazione di Internet”. In tutte le agenzie della Nazioni Unite – per i principi su cui si fonda della Carta delle Nazioni Unite – gli Stati membri hanno un ruolo di primo attore. Ciò contrasta con la vocazione aperta e universalistica di Internet promossa da Icaan che nata e insediata (anche legalmente) negli Stati Uniti nel 1998 ha cercato di allargarsi e di assumere progressivamente un ruolo globale. L’Icaan è un’organizzazione no profit con numerosi stakeholder che ha il compito di supervisionare gli indirizzi IP e assegnare i domini. Quest’anno Icaan celebra i 25 anni dalla sua fondazione. Al suo interno ha un influente comitato – il Gac – composto da rappresentanti dei governi nazionali e organizzazioni internazionali. Icaan e ITU non hanno mai avuto rapporti facili, non solo per la prossimità dei loro campi di azione sotto il profilo tecnologico e operativo, ma anche perché la Federazione Russa e alcuni regimi autoritari hanno spesso utilizzato lo spazio istituzionale di Itu per combattere le loro battaglie per controllare Internet e sottometterlo all’autorità dei governi.
A prescindere dall’eterno scontro tra mondo libero e regimi autoritari la contrapposizione tra Icaan e Itu è anche legata a logiche intrinseche: da un lato ci si occupa di standard per l’industria delle telecomunicazioni, dall’altra per la reti digitali e la conseguente libertà di informazione. A questo proposito, alcuni anni fa ebbi un lungo incontro alla Rappresentanza d’Italia presso le Nazioni Unte a Ginevra. Uno dei problemi che preoccupava i nostri diplomatici era quello di conciliare le istruzioni della Farnesina più favorevoli a Icaan con le sollecitazioni politiche a favore di Itu provenienti dal Mise (in Italia all’epoca i cinesi erano sulla cresta perché preparavano il terreno in vista dell’arrivo del 5G).
Il secondo motivo è che la presidenza dell’Itu da parte degli Stati Uniti è un insolito segnale di assunzione di responsabilità americana nella gestione operativa delle Nazioni Unite. I rapporti tra Stati Uniti e Nazioni Unite sin dalla sua fondazione stati ondivaghi e sempre difficili. Per esempio, dopo l’uccisione dei marine in Somalia nel 1993, il presidente Bill Clinton decise che i militari americani non avrebbero più preso parte alle missioni militari di peacekeeping delle Nazioni Unite.
L’esempio della vittoria degli Stati Uniti a Ginevra per la segreteria generale dell’Itu non dovrebbe restare un caso isolato. Da funzionario del Unmik in Kosovo ho conosciuto dall’interno i non pochi difetti dell’organizzazione. Essi, tuttavia, non sono tali da scoraggiare un rilancio complessivo delle Nazioni Unite in questa delicata della politica internazionale orientata verso un nuovo bipolarismo. La primacy di Washington e Pechino non piace per niente a Vladimir Putin; tuttavia, essa è iniziata 20 anni fa dopo la breve stagione dell’unipolarismo a seguito dell’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001 e dopo l’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003.
Gli Stati Uniti e l’Unione europea dovrebbero intraprendere massiccio investimento nel rilancio delle Nazioni Unite. Un maggiore impegno americano al Palazzo di Vetro e nella dimensione diplomatica multilaterale potrebbe essere un tassello importante per mettere in pratica la visione lanciata proprio in questi giorni da Antony Blinken ad Austin nella sua conversazione all’University del Texas.
Le Nazioni Unite potrebbero/dovrebbero diventare una arena in cui tutte le democrazie (occidentali, asiatiche e africane) vadano all’offensiva non solo per il digitale, le telecomunicazioni, l’intelligenza artificiale, ma per le tre grandi sfide del nostro secolo: pandemie e dell’Organizzazione mondiale della sanità; acqua e sicurezza alimentare; contrasto al cambiamento climatico, temi su cui anche la Cina potrebbe dare un contributo costruttivo maggiore.