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La Giornata della Rabbia. I rischi in Israele (e non solo) del rigurgito jihadista

Atti di terrorismo si sono verificati in tutto il mondo in seguito al proclama di Hamas per una “giornata della rabbia”. Le possibili concause e il rischio di escalation con l’invasione di Gaza

“Giornata della Rabbia”, definizione programmatica. È questo il nome dato alla giornata invocata a gran voce da Hamas per chiedere il sostegno del mondo arabo e musulmano contro le “forze di occupazione”, come vengono definiti gli israeliani, a quasi una settimana dal mostruoso attacco terroristico che ha cambiato definitivamente gli equilibri in Israele.

Alla chiamata a cui in tanti hanno risposto, affollandosi nelle strade e nelle piazze della West Bank e di altre località, come in Giordania. Ma la rabbia evocata da Hamas si sta manifestando anche all’infuori dei confini della Terra Santa e del Medio Oriente, e segue episodi di emulazione tipici del contagio jihadista.

Come ad esempio a Pechino, dove un membro dell’Ambasciata di Israele in Cina è stato pugnalato da attentatori sconosciuti mentre passeggiava per strada. Oppure nella cittadina francese di Arras, dove un ventenne di origine cecena si è recato nel suo vecchio liceo e, al grido di “Allah uh Akbar” ha aggredito alcuni membri del corpo scolastico, uccidendo un insegnante e ferendo altri due individui prima di essere preso in custodia dalle forze di polizia. Secondo quanto riportato dalle forze di sicurezza, l’autore dell’attentato sarebbe già stato schedato in precedenza con la “Fichè S”, etichetta inclusa nei dossier su persone a forte rischio di radicalizzazione.

Un episodio che ricorda molto da vicino quello dell’ottobre del 2020, quando il professore Samuel Paty venne assassinato e decapitato dal suo aggressore, che aveva deciso di punirlo per aver mostrato pubblicamente delle caricature del profeta Maometto. Anche in quel caso l’aggressore, Abdoullakh Anzorov (che poi sarebbe stato ucciso dalle forze di polizia), era un giovane di origine cecene.

La questione della radicalizzazione dei giovani nord-caucasici è da diverso tempo oggetto di attenzione in Francia. Ma anche in Italia, dove è stata affrontata anche nel report “Il Nemico Silente” rilasciato pochi giorni fa da Med-Or. Nelle pagine del dossier viene evidenziato come, sia la guerra in Ucraina (dove esponenti ceceni combattono per entrambi gli schieramenti) sia la sostanziale diaspora della popolazione cecena, rappresentano importanti fattori di rischio per l’espandersi del terrorismo islamico al di fuori del Medio Oriente.

Non a caso i Paesi di tutta Europa hanno rinforzato le misure di sicurezza. Tra questi Paesi rientra, ovviamente, anche l’Italia: l’esecutivo ha infatti annunciato un rafforzamento dei controlli alle frontiere e delle misure di sicurezza nei pressi dei siti afferenti all’Islam e ad Israele (ma anche nei centri commerciali e nei siti culturali), con un aumento della sorveglianza verso i cosiddetti foreign fighters. Ma anche del “rischio emulazione”. Ed è in parte anche a questo che Hamas punto quando lancia la Giornata della Rabbia.

A fare particolarmente paura nel Vecchio Continente è il fenomeno dei lone wolves, quei “lupi solitari” formalmente sganciati da qualsivoglia organizzazione islamista, ma che, sulla scia degli eventi raccontati dai media, prendono la decisione emotiva di voler contribuire nel loro piccolo alla Jihad, organizzando azioni tanto improvvisate (ed improvvise) quanto poco prevedibili dagli apparati di sicurezza.

Un fenomeno che però potrebbe avere luogo anche nella stessa Terra Santa. Già in passato si sono registrati attacchi “all’arma bianca” da parte di individui affiliati alla causa della Jihad nei confronti di cittadini israeliani, dando origine ad un trend che venne ai tempi definito come “l’Intifada dei coltelli”. Il timore diffuso in queste ore è che il proclama di Hamas possa causare una revitalizzazione della dinamica in tutto il mondo, come dimostrato dagli episodi avvenuti in Asia e in Europa.

Situazione che potrebbe andare a peggiorare ulteriormente, con l’avvicinarsi della reazione israeliana che sembra oramai imminente. L’avvertimento israeliano ai civili palestinesi di evacuare Gaza il prima possibile lascia intendere che la risposta, la quale quasi sicuramente si concretizzerà con un’invasione su larga scala della striscia di Gaza da parte delle truppe dell’Idf (che sta perfezionando in queste ore la mobilitazione dei riservisti) sarà dura. Una durezza finalizzata a mandare un segnale importante da parte del nuovo governo di unità nazionale israeliano, ma che potrebbe causare un accrescersi delle violenze jihadiste in tutto il mondo.


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