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Le dinamiche dell’urban warfare di Gaza delineate dal gen. Cuzzelli

La risposta militare di Israele all’attacco di Hamas si sta concretizzando in queste ore. In un ambiente, quello urbano, dove le regole della guerra sono molto particolari. Conversazione con il generale Giorgio Cuzzelli, docente di Sicurezza internazionale e studi strategici all’Orientale di Napoli e alla Lumsa di Roma

“L’azione israeliana su Gaza va analizzata attraverso tre livelli: quello strategico, quello operativo e quello tattico. Che non sono divisi ermeticamente l’uno dall’altro, ma anzi sono interagenti. E sono tutti e tre importantissimi”. Così inizia la conversazione il generale Giorgio Cuzzelli, docente di Sicurezza internazionale e studi strategici all’Orientale di Napoli e alla Lumsa di Roma, con Formiche.net. Poche settimane fa aveva fatto lo stesso, per fornirci gli strumenti interpretativi necessari a capire appieno le logiche dietro l’attacco di Hamas contro Israele. Oggi, invece, la disamina riguarda la risposta israeliana, mentre l’operazione sulla Striscia è entrata in “una nuova fase”.

I tre livelli

A livello strategico-politico Israele deve riuscire a neutralizzare Hamas, minaccia esistenziale per lo stato ebraico sin dai tempi della prima Intifada, senza però violare il diritto internazionale e i suoi principi di proporzionalità della risposta e di immunità dei non-combattenti. Un problema politico che ha dunque dei risvolti sull’aspetto strategico-militare. Gli interventi militari realizzati nel corso degli anni non sono riusciti nel raggiungere questi obiettivi. E neanche l’approccio politico, volto alla cooperazione con la striscia di Gaza dove Hamas comanda dal 2007, in seguito ad un colpo di stato ai danni dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Al livello operativo, prosegue Cuzzelli, la campagna deve perseguire lo scopo politico-militare di neutralizzare Hamas esercitando una serie di sforzi concorrenti – terrestre, aereo, navale, comunicativo, informativo. Sempre sottostando agli imperativi del diritto internazionale, per rimanere nel framework giuridico della “guerra giusta”. È il cuore del problema: la proporzionalità della risposta, ovvero impiegare la forza necessaria a raggiungere l’obiettivo senza eccedere, causando così distruzioni e vittime ingiustificate, e garantendo l’immunità dei non-combattenti. E, data la rilevante presenza civile nella Striscia di Gaza, lo svolgimento della campagna potrebbe avere seri problemi. Il generale richiama esempio come la famosa Battaglia di Fallujah, dove sottolinea che non c’era ombra di civile, così come a Mosul, e ancora prima a Stalingrado. A Gaza ci sono, e rappresentano una forma d’attrito per l’attaccante, mentre il difensore li sfrutta come scudo, spiega. Accanto a quella militare, infatti, vi è anche una dimensione psicologico-mediatica, dove entrambe le fazioni si contendono i favori dell’opinione pubblica internazionale apportando giustificazioni ritenute più o meno valide alla propria causa, con ciò rendendo fondamentale il piano della comunicazione strategica.

Infine, la dimensione tattica, legata allo svolgimento di combattimenti in un ambiente molto complesso, ovvero quello urbano, con caratteristiche alquanto peculiari – a cui si aggiungono quelle tipiche del combattimento contemporaneo. C’è lo svolgimento delle operazioni di combattimento all’interno di spazi congestionati dagli edifici e dalle macerie, che si sviluppano in orizzontale, in verticale e sottoterra, da tenere in prima considerazione. Ma anche i piani confusi, dove agiscono allo stesso tempo attori statuali e non statuali, legittimi e illegittimi, combattenti e non-combattenti, e dove la discriminazione degli obiettivi da parte delle forze aeree e da parte delle forze t terrestri diventa alquanto problematica, richiedendo una quantità maggiore di risorse pur essendo allo stesso tempo meno efficace, fa notare il docente. Inoltre, aggiunge, l’uso estensivo di armi e tecnologie a basso costo ma efficaci (dai droni ai Manpads, fino agli ordigni esplosivi), facilmente ottenibili anche da attori non statuali, porta a una contestazione pressoché continua degli spazi e a una limitata libertà d’accesso all’area di manovra per le unità militari convenzionali. Infine, nei contesti urbani le armi più potenti non solo perdono efficacia, ma le maggiori distruzioni da esse causate rischiano di renderle addirittura controproducenti.

L’urban warfare

L’aspetto urbano dello scontro implica anche altri tipi di dinamiche, rimarca Cuzzelli. Chi agisce in ambiente urbano con finalità offensive, volte cioè ad occupare questo ambiente, si trova a svolgere un compito tanto complesso quanto oneroso. Occupare una città significa eliminare difensori trincerati dietro un complesso sistema di ostacoli. Per fare ciò è necessario innanzitutto avanzare lungo le direttrici principali, così da isolare le sacche di resistenza, nemiche che possono poi essere progressivamente neutralizzate con tecniche di combattimento ravvicinato, peraltro molto costose. Questo, spiega il generale, presuppone volumi di fuoco significativi (con forte rischio di danni collaterali) e una forte integrazione tra le componenti del dispositivo di attacco. Per esempio, in ambiente urbano il carro armato è molto poco efficace, mentre la fanteria o le bocche di fuoco leggere, e ancora di più l’apporto del genio, sono assolutamente funzionali al raggiungimento dell’obiettivo. Cuzzelli ricorda inoltre che mentre la città limita la manovra dell’attaccante, il difensore impiega artifizi (tunnel, cunicoli, distruzioni pianificate) per creare collegamenti e avere maggiori opportunità di manovra, intesa non solo come semplice spostamento da un settore all’altro ma come opportunità di colpire l’avversario laddove meno se lo aspetta.

L’ambiente urbano divora sia gli attaccanti che i difensori. È il trionfo dell’attrito. Chi attacca ha infatti bisogno di impiegare un numero esteso di uomini e di munizioni per coprire l’area delle operazioni. Ma le unità possono comunque essere ruotate dentro e fuori dagli scontri, facendo riposare gli uomini e/o facendo affluire rinforzi e rifornimenti. Cosa che non vale per il difensore, che non ha vie d’uscita. Le sue uniche possibilità sono la resa o il combattere fino alla Ne abbiamo avuto un esempio non molto tempo fa, nelle acciaierie Azovstal di Mariupol. E, normalmente, ad un certo punto il difensore soccombe. Ma il costo rimane altissimo per entrambi. Nella conversazione, il docente ricorda che il combattimento urbano è il contesto più feroce che si possa immaginare in guerra. È uno scontro ravvicinato dove conta solo l’assoluta e cieca volontà di prevalere ad ogni costo sull’avversario.

In questo contesto, come può pensare di vincere Hamas? Per Cuzzelli, Hamas mira essenzialmente a sopravvivere e ad alzare a dismisura l’asticella per Israele. La mera sopravvivenza e il costringere il governo di Tel Aviv a negoziare rappresenterebbero la vittoria di Hamas. Così dimostrerebbe di poter battere Israele, anche se non militarmente, politicamente e moralmente, winning the hearts and minds. Non a caso, conclude il generale, questo è un conflitto asimmetrico.



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