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L’Italia tra riformismo immobile e feudalesimo di ritorno. L’opinione di Tivelli

Perché abbiamo la forte motivazione e quasi il dovere di attingere il più possibile al senso della memoria storica, soprattutto in questo Paese, con questa classe politica, in cui emergono man mano grandi tormentoni e confronti che in ogni occasione sembrano nati per la prima volta. I problemi invece vengono da lontano e spesso da molto lontano. Il commento di Luigi Tivelli

L’Academy di cultura e politica Giovanni Spadolini, il cui appello-manifesto è stato pubblicato recentemente sul Corriere della Sera (lo scorso 23 settembre), si pone come “Academy della Repubblica, contro la divisività, il populismo ed il fazionismo”. E in questo quadro il metodo di fondo con cui opera l’Academy è soprattutto quello del recupero del senso della memoria storica. Che mi sembra significativo in un Paese in cui domina una forma pericolosa di “presentismo”, che amo definire “oggicrazia”, ovvero il dominio dell’oggi.

In questo quadro abbiamo la forte motivazione e quasi il dovere di attingere il più possibile al senso della memoria storica, soprattutto in questo Paese, con questa classe politica, in cui emergono man mano grandi tormentoni e confronti che in ogni occasione sembrano nati per la prima volta. I problemi invece vengono da lontano e spesso da molto lontano, come insegnava tra gli altri da politico intellettuale quale era il presidente Giorgio Napolitano.

A questo proposito, se si sa da dove e come attingere, emergono questioni di fondo del Paese mai risolte. Ad esempio, se si attinge da un libro di uno stretto amico di Napolitano, oltre che amico e collega di Giovanni Spadolini, il professor Guglielmo Negri, (già a capo dell’amministrazione della Camera dei Deputati, esponente di governo, scrittore e saggista, costituzionalista, politologo e presidente del Partito Repubblicano Italiano), si evidenziano in modo plastico concetti di strettissima attualità.

Un libro (L’occhio sulla Repubblica) che raccoglie gli editoriali scritti da Guglielmo Negri sul Corriere della Sera. Ebbene, dalla rilettura del senso di fondo e degli aspetti più plastici attuali ed innovativi contenuti in questi editoriali emergono due linee di interpretazione dei veri problemi della società italiana, due chiavi di lettura di straordinaria attualità: il “feudalesimo di ritorno” e il “riformismo immobile”. Siamo nella prima metà degli anni Ottanta e già allora si manifestavano queste vere e proprie piaghe che sono anche oggi le piaghe fondamentali del vero modello di governo che di fatto domina la politica italiana.

Il “Riformismo immobile” spiega di per sé tutto. Da quanti anni si rinviano man mano vere riforme della giustizia, dell’amministrazione, della concorrenza, del capitalismo di Stato, del “capitalismo municipale”. Siamo ancora dopo circa 40 anni ancora in pieno “riformismo immobile” e l’Ue insegna che senza riforme ( questa è la filosofia di fondo non a caso del Pnrr) non si può liberare la “crescita” nel Paese col Pil da oltre 25 anni allo zero virgola…

Quanto al “feudalesimo di ritorno”, l’intuizione di circa 40 anni fa di Guglielmo Negri si dimostra ancora geniale: l’effettivo quadro di comando del Paese è fatto da troppi clan, da troppe gilde, da troppe corporazioni, da troppi cerchi magici, da troppi “capi” e “cape”, “capetti” e “capette”, ai diversi livelli territoriali. Di qui il concetto di “feudalesimo di ritorno” che andrebbe ravvivato e rilanciato il più possibile per favorire il superamento di questo sistema parafeudale oggi molto più consolidato e diffuso rispetto all’Italia di quarant’anni fa raccontata da Negri.

Per questo definiamo l’Academy Spadolini come “l’Academy della Repubblica contro le divisività e il fazionismo”, perché è proprio dal feudalesimo di ritorno che derivano le troppe fazioni, i troppi clan, i troppi settarismi che dominano la società politica e in parte anche quella burocratica ed economica italiana.

Forse la via per superare tale condizione è quella di puntare finalmente ad un vero patto sociale, del tipo di quello proposto nel ‘62, con la politica dei redditi e la Nota Aggiuntiva, da Ugo La Malfa, che guarda caso candidò nelle liste del Partito Repubblicano al Senato nel 1972 dopo, che si era conclusa la sua esperienza di direttore del Corriere della Sera, Spadolini. Una proposta poi rilanciata dal presidente dal Consiglio Carlo Azeglio Ciampi nel 1993 e che potrebbe essere oggi la più appropriata sia per superare il “riformismo immobile” sia per fronteggiare al meglio il “feudalesimo di ritorno”.

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