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Vi spiego la mossa di Macron su Israele. Parla Darnis

Macron rilancia la proposta di una coalizione internazionale per contrastare i terroristi di Hamas, sulla scorta di quella messa a punto nel 2014 per combattere l’Isis. Un’operazione che serve a rimarcare la vicinanza a Israele ma al contempo a dissuaderlo da ulteriori azioni militari nella striscia di Gaza. L’analisi di Darnis, professore alla Luiss di Roma e all’Università di Nizza

Il presidente francese Emmanuel Macron è volato ieri a Tel Aviv. La sua proposta al premier israeliano Benjamin Netanyahu è quella di riprendere le fila della coalizione internazionale istituita ad hoc per contrastare l’Isis nel 2014. Ora l’idea sarebbe quella di “utilizzarla per lottare contro i terroristi di Hamas”. Ancora i contorni di ciò che il numero uno dell’Eliseo ha in mente di proporre non ha contorni definiti, ma certamente la scelta del presidente francese porta con se strascichi importanti sia in chiave francese sia in chiave internazionale. “Quella del presidente Macron è una mossa molto intelligente, che tuttavia non so se verrà colta fino in fondo”, commenta Jean-Pierre Darnis, professore di storia contemporanea alla Luiss di Roma e di Storia delle relazioni italo-francesi all’Università di Nizza.

Qual è la reale portata dell’iniziativa francese?

È una mossa di prospettiva, che si presta a diverse letture. Sicuramente rappresenta un forte sostegno a Israele da parte di una forza occidentale. Operativamente ancora non è stato definito come si procederà, ma immagino che le azioni che verranno intraprese riguarderanno per lo più l’intelligence. Ma l’aspetto più importante è quello della dissuasione.

In che modo?

A mio giudizio con questa proposta Macron intende da un lato ribadire il diritto di Israele a difendersi, ma d’altra parte a dissuadere il governo dall’intraprendere iniziative militari ulteriori nella Striscia di Gaza. Sarebbe un massacro, le cui conseguenze in termini di vite umane sarebbero devastanti.

L’opinione pubblica francese è in forte subbuglio e le lacerazioni sono profonde. Quali saranno a suo giudizio i riverberi interni di questa mossa di Macron?

Nel corso della sua visita in Israele, Macron ha detto che “una vita palestinese vale come una vita francese e una vita israeliana”. Questo è il riflesso di un forte condizionamento e di una grande polarizzazione del dibattito interno francese sul conflitto in Israele. Le contrapposizioni, in Francia, si consumano per lo più tra cittadini francesi di professione ebraica e tra cittadini francesi di origini magrebine, che hanno sposato la causa palestinese.

Il presidente francese ha incontrato Netanyahu dopo il presidente statunitense Joe Biden, il premier britannico Rishi Sunak, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni. Come si inserisce questa missione nel quadro dei rapporti fra Italia e Francia e tra Palazzo Chigi e l’Eliseo?

I rapporti personali tra Meloni e Macron sono sensibilmente migliorati in questi mesi. Ora i due si sentono regolarmente e sono portato a pensare che, sulle questioni come la guerra in Israele, ci sia un canale aperto permanente. Uno scambio di vedute, che probabilmente coinvolge anche il cancelliere tedesco Scholz. Questo non significa che le visite al primo ministro israeliano fossero state concordate, ma penso si siano informati reciprocamente delle missioni. C’è una buona sintonia, insomma. Un elemento estremamente positivo, specie se lo si legge nella logica delle dinamiche europee.

Come intrapresa le parole di António Guterres, segretario generale dell’Onu?

Mi pare che sia una presa di posizione tutto sommato comprensibile. Ma non sono frasi di chi ha sposato la causa palestinese, bensì le osservazioni di chi ha seguito il dossier israelo-palestinese da tempo. E, sotto questo profilo, i rilievi che vengono mossi a Israele sugli insediamenti in Cisgiordania hanno un fondamento. È Israele ad essere stato inadempiente.



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