Intervista all’ex viceministro dell’Economia, a pochi giorni dall’approdo della manovra sul tavolo del Consiglio dei ministri. Il fatto che le promesse elettorali dei partiti di governo, come quota 100 o la flat tax, non siano nella finanziaria è un bene, perché si evita di scassare i conti e si tranquillizzano i mercati. Condivido la riduzione del cuneo, ma in Italia c’è una questione salariale non risolta
Tra poco più di 48 ore il Consiglio dei ministri esaminerà la manovra italiana per poi, terminata la riunione, spedirla in un unico plico a Bruxelles, per una prima valutazione, come ha ricordato proprio oggi lo stesso commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni. Poi sarà la volta dei mercati, finora tutto sommato tranquilli e fiduciosi, a parte qualche sussulto a valle dell’approvazione della Nadef e delle agenzie di rating. Solo allora si capirà se la prudenza e il senso di realismo predicato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (concetto ribadito in queste ore da Marrakesh, dove sono in corso i meeting del Fmi) avranno avuto la giusta capacità di persuasione.
Di sicuro, non manca la convergenza, soprattutto con Bankitalia e il suo governatore uscente, Ignazio Visco che, intervistato da Bloomberg, ha ribadito la solidità dei conti italiani e la non sussistenza di elementi di preoccupazione circa la loro tenuta futura (ma Via Nazionale nel suo bollettino ha parlato di un crescente costo del debito, in termini di interessi). Formiche.net ha voluto ragionarci con Enrico Morando, economista e già viceministro all’Economia nei governi Renzi e Gentiloni, per capire se la natura basica della manovra italiana è davvero una buona notizia o no.
Lunedì prossimo la seconda finanziaria di Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti verrà approvata. Impressioni della prima ora?
Gliela metto in questo modo. La manovra non contiene ad oggi nessuna delle proposte avanzate dai partiti di governo in campagna elettorale. E questa è una buona notizia.
E perché mai dovrebbe esserlo, scusi?
Perché non ci sono iniziative che possano scassare i conti pubblici. Pensiamo al rifinanziamento di quota 100 o alla flat tax, misure non sostenibili e devastanti per le finanze. Solo ipotizzare che nel 2024 si potessero riprendere in discussione i provvedimenti sopra menzionati, sarebbe stato deleterio per i mercati che comprano il nostro debito. E dunque, meglio che sia andata così. In conclusione, per l’ennesima volta, paradossalmente, possiamo ritenerci soddisfatti del fatto che un governo non ha messo in manovra quello che ha promesso mesi prima. Nell’immediato è una buona notizia insomma.
Va detto che il ministro Giorgetti ha fatto della prudenza e della cautela la sua filosofia…
Il fatto che Giorgetti abbia scelto con il premier una linea di sostanziale prudenza, sia nella Nadef, sia nella finanziaria, è un fatto positivo. Come ho detto, il fatto di non avere esplicitamente e nemmeno in modo implicito riproposto misure pericolose per la finanza pubblica, è una buona arma contro la speculazione dei mercati.
Se le dico cuneo fiscale? Non mi dirà che non è saggio ridurre il costo del lavoro…
Tagliare il cuneo fiscale è una scelta giusta. Ma le faccio notare che se si vuole che simili misure aumentino in modo strutturale e duraturo la convenienza ad assumere per le imprese, non possiamo certo accontentarci di misure spot. Serve un programma di lungo periodo, di cui ora non c’è traccia. Ridurre il costo del lavoro va bene, aiuta, ma andrebbe fatto con un orizzonte di lungo termine. Orizzonte che ora non vedo, nonostante le buone intenzioni.
In Italia secondo lei c’è una questione salariale? L’inflazione picchia duro.
Direi di sì, il livello è troppo basso. Tutti i dati confermano che in questa fase noi abbiamo in Italia, ma anche in Europa, in termini macroeconomici un’inflazione di cui una componente molto importante sono i profitti. Mi spiego, è successo che quando il costo dell’energia è schizzato alle stelle, le imprese che se lo potevano permettere, hanno fatto un adeguamento dei prezzi rispetto ai costi di produzione rialzati. I salari, però, non hanno la stessa capacità di adeguamento e per questo il risultato è che l’inflazione è salita molto, sia per la componente energetica, sia per la ripresa post-pandemica. Questo per dire che i salari italiani si possono alzare non solo con il taglio del cuneo fiscale, ma anche con una contrattazione articolata tra lavoratori e aziende. Se la Cgil ci pensasse, non sarebbe male.
Mi scusi ma allora ha ragione Meloni, il salario minimo non serve.
No, non condivido. Perché quando parlo di adeguamento dei salari, parlo di lavoratori che non sono al livello di salario minimo, bensì di quelli con un salario maggiore, ma fortemente ridotto dall’inflazione. Per quelli al di sotto, il salario minimo serve.
Chiudiamo sull’Europa. A gennaio ci potrebbero essere le nuove regole del Patto di stabilità. Non poche volte il governo ha lanciato l’allarme: senza vincoli un po’ laschi, si rischia su crescita e investimenti. Lei che dice?
Si dice una cosa vera, ma non è la più importante. Quella più importante è un’altra questione. E cioè perché il governo italiano invece che riscrivere le regole in modo più morbido si ostina a chiederne la sua sospensione, che tra le altre cose, non arriverà mai. Meglio lavorare tutti insieme a un aggiornamento del Patto, piuttosto che chiedere il suo stop a oltranza.