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Missione tunisina per Tajani. L’Italia fa la sua parte nella diplomazia attorno a Israele

Per Tajani la missione a Tunisi è complicata da un atteggiamento non aperto del presidente Saied nei confronti di Israele. Il leader tunisino si era espresso chiaramente contro le normalizzazioni, ma il coinvolgimento del Paese nordafricano nel forcing diplomatico è essenziale

“L’idea di ‘due popoli, due Stati’ è quella che va perseguita perché è l’unica che può portare pace in Medio Oriente. Domani sarò in Tunisia, Paese arabo con grande vicinanza ai palestinesi, e cercherò di spiegare ai tunisini che bisogna lavorare alla pace e alla de-escalation puntando a due popoli due Stati [per Israele e Palestina]”, ha annunciato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, intervenendo a “Mattino Cinque”.

“Colpire Hamas è legittimo, Israele ha diritto a difendersi, poi dopo bisognerà vedere come lavorare per dare una prospettiva al popolo palestinese. Secondo me è la nascita dello Stato palestinese che deve rispettare l’esistenza di Israele”, aggiunge.

L’Italia partecipa per come può al frenetico forcing diplomatico attorno alla crisi militare in Israele. Le attività occidentali, guidate dagli Stati Uniti, mirano a evitare un’escalation che potrebbe portarsi su scala regionale. Cina e Russia hanno interessi differenti: pur volendo evitare un conflitto – perché non esattamente rispondente ai propri interessi internazionali e regionali – Mosca e Pechino sfruttano la situazione per spingere narrazioni anti-occidentali, anche approfittando di un contesto generale che su Israele si muove in termini pregiudizievoli.

Tra le reazioni istintive anti-israeliane che hanno caratterizzato le collettività di gran parte del mondo arabo, ci sono anche quelle tunisine. Ieri sera, per esempio, centinaia di persone sono state filmate mentre davano fuoco a una sinagoga nella città centrale tunisina di Al Hammah. La sinagoga del sedicesimo secolo è inutilizzata, dismessa dai tempi in cui – all’inizio degli anni Cinquanta – gli ebrei furono cacciati dalla Tunisia. Ma il gesto è chiaramente simbolico, iconoclastico, e rappresentativo della chiusura di una buona parte di tunisini nei confronti di Israele.

Dopo la Rivoluzione tunisina del 2011, il partito Ennahda, islamista e prima forza politica nel Paese, aveva rassicurato la ridotta comunità ebraica locale su un nuovo posto all’interno della nuova società che la Tunisia democratica avrebbe costruito. Tuttavia, incidenti come l’arresto di un poliziotto per aver complottato il rapimento di un giovane ebreo nel 2012 hanno sollevato preoccupazioni, portando a richieste di maggiore protezione e inclusione.

Nel 2011, Israele aveva già stanziato fondi per aiutare gli ebrei tunisini a trasferirsi a causa dei crescenti sentimenti antiebraici. Nel gennaio 2014, il governo guidato da Ennahda si è fatto volontariamente da parte e un governo di coalizione ha introdotto una nuova costituzione laica che protegge esplicitamente la libertà di religione, di coscienza e i diritti delle minoranze, compresi quelli degli ebrei.

Ma la contrazione democratica imposta a luglio 2022 dal presidente autoritario Kais Saied ha complicato anche il percorso di integrazione. In quello stesso anno, per esempio, erano stati vietati due film con l’attrice israeliana Gal Gadot a causa del suo servizio nell’esercito israeliano. Nel maggio 2023, una tragica sparatoria nei pressi della sinagoga più antica della Tunisia, La Ghriba di Djerba, ha causato quattro morti. L’attacco, opera di un poliziotto anti-semita considerato un lupo solitario, è avvenuto durante un evento annuale di pellegrinaggio e ha evocato il ricordo dell’attentato del 2002 con cui al Qaeda colpì nello stesso luogo.

Il quadro degli attuali rapporti con Israele lo ha tracciato a fine agosto il presidente Saied, sottolineando la sua posizione contro ogni genere di processo di normalizzazione con lo stato ebraico durante un incontro con alcuni ambasciatori stranieri. Saied aveva invitato le feluche di Serbia, Iran, Iraq e Turchia a dare priorità alla causa palestinese. Ha sottolineato l’importanza di sostenere Gerusalemme come capitale di uno Stato palestinese indipendente, il “diritto al ritorno” dei rifugiati palestinesi in Israele e il ripristino dei diritti dei palestinesi sull’intero territorio.

Questi commenti avevano fatto seguito al clamore suscitato dall’incontro del ministro degli Esteri israeliano con la sua omologa libica, avvenuto a Roma. In quell’occasione, proteste anti-israeliane – legate anche a sentimenti anti-semiti – erano esplose per le strade libiche, portando al licenziamento della ministra di Tripoli.

La Tunisia, al pari dell’Algeria, ha fatto delle narrazioni anti-israeliane e anti-normalizzazioni un modo per differenziarsi e crearsi una propria posizione all’interno del mondo arabo. Differentemente, il Marocco ha per esempio aderito agli Accordi di Abramo, riaprendo le relazioni con Israele. E tentativi di contatto erano in corso con la Libia, mentre l’Egitto ha già i canali diplomatici aperti con Gerusalemme.

Tajani troverà un clima molto delicato, la diplomazia italiana dovrà giocare le sue carte con un Paese ambiguo e difficile, che già in altre situazioni ha dimostrato di voler capitalizzare il consenso su tematiche simili, da inserire anche nel dossier delle narrazioni anti-occidentali. Tuttavia, il coinvolgimento di certi attori nelle iniziative per evitare l’escalation è importante, perché delle dinamiche mediorientali sono connesse a quelle nordafricane – dunque mediterranee, dunque italiane.

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