Dalla dimensione militare a quella civile, l’energia atomica continua ad essere una protagonista nella vita di Mosca. E anche uno strumento di politica estera, sia per attrarre partner stranieri che per spaventarne altri
L’artico russo è in fermento. Immagini di intensi movimenti di mezzi terrestri ed aerei vengono registrate dai satelliti in orbita, secondo uno schema già visto in più occasioni a partire dal 2017. Inoltre, varie allerte dove si avvertivano i piloti di evitare l’area sono state diramate dalle autorità russe. Un puzzle con una soluzione palese: Mosca si sta apprestando al test di una nuova arma nucleare.
Nello specifico, si tratta del sistema 9M370 Burevestnik (termine traducibile in italiano con “Uccello della tempesta”, noto in ambiento Nato come SSC-X-9 Skyfall: un missile dotato di propulsore nucleare da attivare una volta in aria, il quale gli permetterebbe (almeno sulla carta) di rimanere in volo per un periodo di tempo infinito, anche se fino ad ora i test di quest’arma hanno avuto scarso successo. Il Burevestnik è una delle sei “superarmi” presentate dallo stesso presidente russo Vladimir Putin all’interno di un suo celebre discorso del 2018, durante il quale affermava che questi sistemi, tutti con capacità nucleari o quantomeno dual-use, offrirebbero alla Russia una opzione strategica che gli Stati Uniti non potrebbero in nessun modo contrastare. Poco più di un anno fa, nell’aprile del 2022, era stata un’altra di queste armi, il missile balistico intercontinentale a lungo raggio RS-28 Sarmat, già dal 2016 soggetto di alcuni filoni della propaganda putiniana, ad essere impiegato per la prima volta all’interno di un lancio sperimentale.
Tutto nel segno della “retorica nucleare”, piuttosto cara a Mosca anche all’interno del conflitto in Ucraina – con il tema chè diventato uno dei filoni della propaganda pro-Russia anche in Italia, come spiegava su queste colonne Nona Mikhelidze (Iai). Per esempio, appena quattro giorni dopo l’inizio dell’invasione su larga scala nel febbraio del 2022, Putin ha ordinato alle forze nucleari della Federazione di entrare in uno stato di allerta, con l’intenzione di segnalare la sua volontà di ricorrere all’arma atomica, se il contesto lo richiedesse.
Nei mesi successivi diversi esponenti dell’establishment russo, dal Ministro degli Esteri Sergei Lavrov all’aggressivo ex-presidente Dmitry Medvedev, dal leader ceceno Ramzan Kadyrov allo speaker della Duma Vyacheslav Volodin, arrivando fino al politologo Sergey Karaganov, hanno ventilato l’utilizzo delle capacità nucleari russe come mezzo ritenuto più che legittimo nella tutela dell’interesse nazionale. I destinatari del messaggio erano ovviamente i Paesi occidentali che si sono schierati a supporto dell’Ucraina. L’obiettivo: un tentativo di esercitare una deterrenza verso ingerenze troppo ‘marcate’ all’interno delle dinamiche belliche. Risultati: non eccezionali.
Ma l’enfasi posta sull’energia atomica non riguarda soltanto la dimensione militare. Il “mito nucleare” di Mosca si dimostra capace di fascinazione e attrazione, sia dentro che fuori i confini della Federazione. Un fattore che, combinato alla necessità di avviarsi verso un processo di transizione all’energia sostenibile, ha spinto molti Paesi a cercare di cooperare con Mosca per sviluppare un programma nucleare civile. Dagli Stati dell’Africa, che vedono nel nucleare una fonte energetica economica e pulita su cui contare per il proprio sviluppo economico in modo libero da condizionamenti ideologici, all’India e alla Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, sono molti gli stati che nel corso degli anni hanno avviato un programma di partnership con Rosatom, con l’obiettivo di sviluppare un programma nucleare domestico.
A questo gruppo di Paesi appartiene anche l’Ungheria di Viktor Orbàn. Lo scorso settembre l’ambasciatore ungherese a Mosca Norbert Konkoly ha riaffermato l’interesse del suo Paese nel collaborare con la Russia all’interno della dimensione nucleare, sull’onda di alcune voci che suggerivano un tentativo di Budapest di sganciarsi dal Cremlino e di sostituire Mosca con Parigi. Voci poco credibili, visti i forti legami che legano i due Paesi. Esattamente un anno fa, nel settembre 2022, il ministro degli esteri ungherese Peter Szijjarto aveva affermato che qualunque tentativo di bloccare la costruzione delle centrali nucleari dell’Ungheria sarebbe stato considerato un attacco alla sovranità dello Stato. Inutile dire che il partner prescelto per costruire queste infrastrutture fosse proprio Rosatom.
Il Paese magiaro, che nel 2014 ha firmato un accordo con la Russia per la costruzione di due nuovi reattori (la cui data di operatività, inizialmente prevista per il 2026, per il momento è stata posticipata al 2030) opera attualmente quattro reattori nucleari basati sul modello sovietico VVER-440, con il combustibile nucleare che viene fornito dalla società russa Tvel. Quasi tutti gli operatori europei che impiegano questo modello stanno portando avanti un processo di sganciamento dalla Russia per i rifornimenti di combustibile, guardando verso la statunitense Westinghouse e la francese Framatome. L’Ungheria continua invece a puntare su Tvel. “Il nostro Paese non vede alternative. Solo la Russia può garantirci queste forniture” ha dichiarato a questo proposito il vice-ministro degli esteri Levente Magyar.
L’impegno profuso dall’Ungheria nella sua alleanza energetica con Mosca ha impedito di fatto all’Unione Europea di sanzionare Rosatom, così come altre società energetiche russe, dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia. Il governo ungherese ha ribadito all’inizio di quest’anno che si oppone fermamente a qualsiasi restrizione sull’energia nucleare russa, lasciando poche speranze per una correzione di rotta nel prossimo futuro. Finché l’Ungheria non sostituirà il combustibile russo con una fonte alternativa o non abbandonerà il progetto congiunto con Mosca per la costruzione dei nuovi reattori, la posizione di Budapest sui futuri pacchetti di sanzioni dell’Ue contro la Russia non muterà minimamente.
La narrazione che la Russia ha costruito negli anni attorno alle proprie capacità nucleare è efficace. Ripresa in ogni occasione che conta, ha portato interessi sia di carattere business che politici a Mosca. Nel pieno dell’invasione ucraina, l’uso del tema nucleare è un fattore tattico-strategico per il Cremlino, con conseguenze che vanno dalla deterrenza pratica e soprattutto psicologica, alle complicazione come quelle prodotte dagli accordi con l’Ungheria.