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Il bersaglio di Hamas siamo tutti noi. Il monito di Giorgia Meloni dal Cairo

Alla conferenza di pace organizzata da Al Sisi il premier italiano spiega che il vero obiettivo dei terroristi non è difendere i diritti del popolo palestinese “ma creare una reazione contro Gaza per minare ogni tentativo di dialogo”. La priorità immediata resta l’accesso umanitario

Una maggiore consapevolezza sul reale obiettivo di Hamas, accanto ad un progetto di soluzione per la questione israeliano-palestinese (due popoli due stati) e alla fisiologica e prioritaria assistenza per l’accesso umanitario. Giorgia Meloni alla conferenza di pace organizzata al Cairo mette in fila le “indicazioni” italiane sul conflitto in corso dopo l’attacco di Hamas a Israele e sottolinea una serie di indirizzi che, negli auspici, possono trasformarsi in azione.

Trappola Hamas

Il primo elemento attiene il modus. Hamas, spiega il premier, non ha come meta finale la difesa del popolo palestinese, bensì stimolare una reazione contro Gaza “per minare ogni tentativo di dialogo, creare un solco incolmabile fra i paesi arabi, Israele e l’Occidente compromettendo definitivamente pace e benessere per tutti i cittadini coinvolti, compresi quelli che si dice di volere difendere”.

Da qui l’assunto che “il bersaglio siamo tutti noi”, come dimostrano gli attacchi scomposti dei giorni scorsi. La soluzione, dunque, è comprendere negli interstizi la strategia (per niente grossolana) di Hamas per evitare di “cadere in questa trappola, sarebbe una cosa molto molto stupida”.

La premessa però è d’obbligo: nessuna causa giustifica bambini decapitati, aggiunge, e dinanzi ad azioni simili ecco che lo Stato è pienamente legittimato a “rivendicare il suo diritto all’esistenza, alla difesa, alla sicurezza dei propri diritti e confini”.

Reazioni e limiti

A questo punto si apre il capitolo dedicato ad Israele, prossima tappa del premier: all’omologo Benjamin Netanyahu, Meloni dirà essenzialmente che Roma difende il diritto di Israele a esistere e difendersi di fronte a scene di “totale disumanizzazione del popolo ebraico”. Ma il modo migliore, anche per difendere Israele, è quello di “non consentire l’isolamento di Israele dalle nazioni che hanno lavorato per un processo di normalizzazione, quindi impedire che il conflitto si propaghi”, come a voler andare oltre la reazione militare in sé e cerchiare in rosso anche altri elementi niente affatto secondari.

L’Italia dunque lavorerà per favorire l’accesso umanitario, da concretizzare anche grazie alla mediazione di player regionali importanti, come Giordania, Egitto, Turchia. Passaggio, questo, che porta in dote una riflessione: quando il Presidente del Consiglio mette l’accento sul fatto che i leader devono esserci in questi momenti, tocca un punto nevralgico, anche nella prospettiva di una futura risoluzione del conflitto.

Roma considera una prospettiva concreta quella di “due popoli e due stati”, nella consapevolezza che da un lato il popolo palestinese deve avere il diritto ad essere una nazione che si governa da sé, e dall’altro Israele al quale deve essere pienamente riconosciuto. Senza dubbi o ambiguità.

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