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Sul Patto di stabilità l’Europa è (ancora) spaccata

​L’Ecofin in Lussemburgo finisce con un sostanziale nulla di fatto, anche per via delle ritrovate resistenze tedesche. L’intesa sulla gestione dei deficit è ancora lontana, nonostante l’ottimismo di Gentiloni. Ma una cosa è ormai certa, l’Italia non è sola nella battaglia per regole più morbide e a prova di crisi in Medio Oriente

L’accordo, a occhio nudo, non c’è. L’Europa del rigore e i Paesi più indebitati sono ancora molto lontani dal trovare una quadra sul nuovo Patto di stabilità (qui l’intervista al presidente della Commissione Finanze della Camera a responsabile economia di Fratelli d’Italia, Marco Osnato). L’Ecofin appena concluso, non ha partorito, insomma, l’esito sperato: la convergenza tra Germania ed Europa mediterranea sulle regole di bilancio tarate sulla fase post pandemica e bellica è ancora tutta da trovare. E mancano due mesi scarsi alla scadenza di dicembre, quando per forza di cose occorrerà trovare un accordo politico tra i Paesi membri.

IL (NUOVO) NIET TEDESCO

I segnali che anche questo summit dei ministri dell’Economia e delle Finanze franasse, c’erano tutti. Il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, è arrivato ieri alla riunione dell’Eurogruppo che precede l’Ecofin, a Lussemburgo, esibendo l’abituale piglio rigorista. Buono per randellare gli altri, un po’ meno in casa propria dove i giochi di prestigio sui bilanci pubblici sono stati messi all’indice dalla Corte dei Conti di Karlsruhe. Di fatto, a meno di due mesi e mezzo dalla data entro cui va riformato il Patto di stabilità, pena un ritorno alle vecchie regole, Berlino continua a mostrare i muscoli e non sembra in vena di fare concessioni. Soprattutto all’Italia, dove è appena stata varata la manovra che alza il disavanzo per il 2024 al 4,3%, in modo da reperire i 14 miliardi di euro necessaria a finanziarla.

E anche oggi la musica non è cambiata. “Sulla riforma del Patto di stabilità e di crescita la Germania insiste sulla necessità di prevedere obblighi di riduzione annuale anche del deficit di bilancio, oltre a regole sulla riduzione del rapporto debito-Pil”, ha sentenziato Lindner al termine dei lavori. La Germania, dunque, sembra aver assunto una posizione negoziale più risoluta nelle ultime settimane, sulla riforma delle regole europee che governano i conti pubblici.

Lo stesso Lindner ha affermato che le circostanze e la situazione economica ora sono “completamente cambiate”, presumibilmente in riferimento all’alta inflazione e, forse, soprattutto alle pressioni che si sono create sui titoli di Stato di vari Paesi negli ultimi mesi. “Per noi la riduzione del debito-Pil e del deficit annuale sono collegate. Non è credibile vedere debiti più bassi livelli senza una sostenibile riduzione del deficit annuale. In circostanze economiche normali il deficit deve essere sotto il 3% e suggeriamo un margine di sicurezza rispetto al riferimento del 3%. Dobbiamo trovare in che modo possiamo combinare questo riferimento del deficit alla salvaguardia, in un modo che concordiamo tutti, bisogna fare molto più lavoro tecnico”.

LA TENACIA DELL’ITALIA E LA SPONDA FRANCESE

Da parte sua, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non ha potuto che rispondere ribadendo la linea italiana: sì alle regole sui conti, ma purché siano compatibili con il contesto internazionale e garantiscano un rientro dei debiti morbido e non traumatico. “Con la riforma del Patto di stabilità e di crescita è cruciale raggiungere consensus su regole realistiche e, anche dato il contesto attuale di alti tassi, dobbiamo riportare le finanze pubbliche in carreggiata mentre assicuriamo risorse per gli investimenti. La situazione geopolitica resta altamente incerta”, ha chiarito Giorgetti.

E ancora, “la riforma del Patto rimane per tutti noi un dossier cruciale. Per l’Italia è fondamentale raggiungere l’accordo sulla revisione delle regole di bilancio entro il 2023. Gli investimenti e le spese legate alle priorità europee, inclusa la Difesa, sono obiettivi politici strategici che le nostre regole fiscali non possono ignorare” ed “è vero anche per gli impegni nel Pnrr: gli Stati membri devono essere messi in condizione di realizzarli”.

Fa quasi notizia poi pensare che ci possa essere stata una sponda della Francia all’Italia. Parigi ha un debito pubblico più alto di Roma e non può certo permettersi regole troppo stringenti sui conti. “Piuttosto che puntare alla maggiore riduzione possibile dei debiti pubblici erga omnes, la riforma del Patto di stabilità e di crescita deve perseguire un risanamento in cui il riferimento sia la sostenibilità dei debiti pubblici”, è stata la linea espressa dal ministro delle Finanze della Francia, Bruno Le Maire. “Non metto da parte la questione dei deficit sto solo spiegando che se vogliamo un accordo ci serve un punto di partenza. Per me il punto di partenza deve essere il livello del debito pubblico e la necessità di una riduzione graduale, in modo che possiamo avere un accordo sul livello di debito sostenibile”.

LA (MEZZA) RESA DELL’UE E L’OTTIMISMO DELLA SPAGNA

E che ci siano pochi margini per un’intesa, lo ha ammesso anche chi non è mai stato troppo tenero con l’Italia, il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis. Che ha chiamato direttamente in causa la golden rule, una battaglia quasi tutta italiana, ovvero lo sganciamento degli investimenti per la crescita dal calcolo del deficit. “La Commissione europea non vede margini per concordare una golden rule sugli investimenti, nella riforma del Patto di stabilità e di crescita: la proposta della Commissione prevede già degli incentivi per gli investimenti, se vanno in linea con le priorità Ue. Consente agli Stati membri di estendere il periodo di aggiustamento da quattro fino a sette anni”.

Meno male che c’è chi è ottimista, come Nadia Calvino, ministro delle Finanze della Spagna, Paese ad alto debito o come il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni. “Sulla riforma del Patto di stabilità e di crescita, all’Ecofin i ministri hanno espresso i loro punti di vista in maniera costruttiva e hanno mostrato determinazione a raggiungere un accordo per la fine dell’anno”, ha chiosato il ministro iberico. E lo stesso pensa Gentiloni. Ma è davvero così?



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