“Middle powers” sempre più assertive – così eterogenee come India, Brasile, Arabia Saudita e Giappone, o ancora Kazakistan, Sud Africa e Turchia – stanno dando forma al nuovo ordine mondiale. E l’Europa? I consigli dello European Council on Foreign Relations
In un ordine mondiale frammentato e apertamente transazionale, gli europei hanno bisogno di un nuovo approccio che rafforzi i legami con Paesi diversi dagli Stati Uniti per proteggere i loro interessi e rimanere rilevanti, secondo un nuovo rapporto pubblicato dall’European Council on Foreign Relations (Ecfr).
In vista dell’incontro della Comunità politica europea e del Consiglio europeo informale sull’autonomia strategica, gli autori dell’Ecfr suggeriscono che una tale strategia rispetterebbe i desideri di sovranità di medie potenze come India, Brasile, Arabia Saudita, Giappone, Sud Africa e Turchia e contemporaneamente aumenterebbe la sovranità dell’Europa stessa.
Gli europei possono allo stesso tempo cooperare e competere con questi attori su aree di reciproco interesse come il clima, l’economia o la difesa, attraverso strutture multilaterali occidentali e non occidentali – scrivono gli autori.
Gli autori del rapporto (Aslı Aydıntaşbaş, Julien Barnes-Dacey, Susi Dennison, Marie Dumoulin, Frédéric Grare, Mark Leonard, Theodore Murphy, José Ignacio Torreblanca) chiamano questo nuovo approcciointerdipendenza strategica – che dovrebbe basarsi su tre principi chiave.
Primo: privilegiare la riduzione di rischi rispetto al disaccoppiamento. Le politiche europee dovrebbero riconoscere che in un mondo interdipendente il disaccoppiamento – se rifiutato dal resto del mondo – non è solo irrealistico, ma probabilmente dannoso per gli interessi dell’Europa. Sebbene abbia senso evitare di essere eccessivamente dipendenti da Paesi potenzialmente ostili, specialmente per quanto riguarda materie prime di cruciale importanza, l’urgenza di disaccoppiarsi dovrebbe essere ridotta al minimo per favorire invece la riduzione dei rischi e la costruzione di relazioni con le principali potenze medie.
Secondo: prepararsi alla coesistenza politica. La politica estera europea dovrebbe focalizzarsi sull’adattamento ad un mondo di coesistenza e competizione politica. L’Unione europea non dovrebbe dare per scontato di poter cambiare i regimi di altri Paesi – piuttosto, deve imparare a coesistere con essi. È inoltre necessario investire nel sostegno ai Paesi più colpiti dalle transizioni globali, a livello tecnologico, demografico e in ambito di decarbonizzazione.
Terzo: investire nelle relazioni chiave. Gli europei dovrebbero comunicare la loro volontà di collaborare alla costruzione di un nuovo ordine mondiale – anziché cercare di preservare quello vecchio. Sebbene raggiungere accordi con Stati ideologicamente affini sia rassicurante, la vera sfida sta nel coinvolgere nuovi partner su questioni differenti. I Paesi europei dovrebbero inoltre valutare se le vecchie strutture, dominate dall’Occidente, siano in grado di rimanere rilevanti grazie all’inclusione di un numero di membri più ampio.
Per costruire un approccio più strategico all’interdipendenza, gli europei hanno molto da imparare dalle potenze medie che stanno dando forma al nuovo ordine.
Gli autori del report hanno identificato quattro gruppi fondamentali. Primo, i peace preservationists: nell’Indo Pacifico il fattore dominante che sta rimodellando l’ordine internazionale è l’ascesa della Cina con le sue implicazioni nell’ambito economico, militare e politico a livello globale. Molti dei Paesi di questa regione (come Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Taiwan) sono quindi preservatori della pace, interessati a monitorare l’ascesa della Cina come potenza egemonica e ad evitare una guerra.
Secondo, gli America hedgers: questi Paesi appartengono tradizionalmente alla sfera di influenza americana, ma ora stanno cercando di proteggersi dall’eccessiva dipendenza dagli Stati Uniti impegnandosi con nuovi partners. Il potenziale energetico delle due regioni degli America hedgers esplorate dal report – America Latina e Golfo – dimostra che hanno una crescente leva nelle loro relazioni con le potenze più grandi.
Terzo, i post-colonial dreamers: questo gruppo comprende ex colonie dell’Africa e dell’Asia centrale che, come gli America hedgers, stanno cercando di liberarsi una volta per tutte dal giogo dei loro ex padroni coloniali costruendo relazioni con quasi tutti gli altri Paesi. A differenza dei prudenti, però, molti postcolonial dreamers non hanno i mezzi per sfidare apertamente i loro ex protettori.
Quarto, i polyamorous powers: a differenza degli American hedgers e dei post-colonial dreamers, le potenze poliamorose non cercano di difendere la propria sovranità da qualche Paese specifico. In quanto potenze con una chiara traiettoria ascendente, sono così sicure del loro ruolo nel futuro ordine globale da essere felici di entrare in relazione con tutti i tipi di partner. La Turchia, ad esempio, si trova in una relazione aperta con l’Occidente, mentre l’India è completamente libera e più che felice di mettersi in gioco.
L’interdipendenza strategica richiede uno specifico approccio alla cooperazione. I Paesi europei devono impegnarsi in modo costruttivo con gli attori non occidentali se vogliono risolvere i problemi globali e promuovere i propri interessi. Questo non significa però la fine della concorrenza. Con una visione chiara degli interessi e delle capacità europee, i Paesi europei potranno fare leva sulla loro influenza, ancora considerevole, per ottenere risultati migliori. Questo approccio porterà più benefici all’Europa e al resto del mondo rispetto al ritorno di un blocco in stile guerra fredda, concludono gli autori.