Non poteva non cominciare senza un ringraziamento della platea a Ignazio Visco, governatore uscente di Bankitalia, la 99esima Giornata del risparmio, promossa e organizzata dall’Acri, l’associazione delle fondazioni bancarie guidata da Francesco Profumo. Da domani, al vertice di Via Nazionale, arriverà Fabio Panetta, direttamente dal comitato esecutivo della Bce, dove è approdato nel 2020. Lo sapevano i banchieri e i manager presenti all’Auditorium della Tecnica presso la Confindustria, all’Eur così come i relatori della kermesse che dal 1924 fa il punto della situazione sulla capacità degli italiani di risparmiare e investire: Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, unitamente agli stessi Visco e Profumo.
ANATOMIA DEL RISPARMIO
A prendere la parola per primo non poteva che essere lo stesso padrone di casa, Profumo. Il quale ha fatto un bilancio del risparmio italiano, mai messo così a dura prova da pandemia, inflazione e tassi di interesse cresciuti in modo troppo veloce. “Il risparmio italiano è prevalentemente fermo sui conti correnti, e questo ha determinato una forte erosione del suo valore reale a causa dell’impennata dall’inflazione, seguita alla crisi energetica e che, seppur in fase di rallentamento, non è ancora tornata a livelli accettabili”, ha messo in guardia Profumo.
“Inoltre il risparmio degli italiani è distribuito in maniera fortemente diseguale e risulta radicalmente concentrato: si stima che il 60% di queste risorse appartengano al 20% delle famiglie più abbienti”. Dunque, anche il risparmio vive anni difficili, nonostante la naturale propensione degli italiani a mettere da parte il denaro. “A livello collettivo, il risparmio può trasformarsi in un volano per la crescita del Paese, ma a condizione che venga investito nell’economia reale. Oggi, invece gli italiani che risparmiamo investono pochissimo, acquistano titoli di stato (e questo è certamente positivo) e poi privilegiano strumenti finanziari esteri”.
UN’IPOTECA CHIAMATA DEBITO
Se però c’è una minaccia per il risparmio, forse anche più temibile dell’inflazione, quella è il debito pubblico. Dal palco dell’Auditorium in via Tupini, si è levato forte il grido di allarme per un debito pubblico sì sostenibile e ancora credibile agli occhi dei mercati, ma sempre più ingombrante. Nessun attacco frontale al governo che per il prossimo anno prevede un deficit al 4,3%, nei fatti ritardando il percorso di riduzione del debito, sia chiaro. Ma solo un promemoria per l’esecutivo presente e per quelli futuri: il debito pubblico è un’ipoteca sulla crescita e lo sviluppo.
“Il debito è un’immensa eredità del passato che grava sulle generazioni presenti e future. È il frutto di scelte fatte nel passato, anche recente, che limitano o condizionano pesantemente le scelte di spesa e gli indirizzi che possiamo prendere oggi”, ha sottolineato Profumo. “I soli interessi passivi sul debito che l’Italia paga ogni anno stanno superando la soglia dei 100 miliardi di euro. Più di quanto lo Stato spende per l’istruzione. Una cifra che quasi eguaglia quella complessiva per le politiche sociali e che equivale al 10% della spesa pubblica totale. Il quarto debito pubblico al mondo in rapporto al Pil ricade sui giovani italiani di oggi che dovranno contribuire a pagarne gli interessi per tutto il corso della loro vita”.
Il gioco di sponda non ha tardato ad arrivare, al punto che Patuelli ha avanzato la proposta di fissare una soglia al debito italiano. “Occorre porre un tetto al debito pubblico italiano, che non può crescere in cifra assoluta all’infinito e che sottrae risorse alle iniziative sociali pubbliche e penalizza la competitività internazionale delle imprese”. Il presidente dell’Associazione bancaria, ha avvertito che i conflitti geopolitici in corso, in Ucraina e in Israele e Medioriente “oltre alle inammissibili violenze, portano anche a crescite di costi energetici e a ulteriori spinte inflazionistiche che possono convincere le Banche centrali ad altre strette monetarie con nuovi rischi di indebolimento della crescita economica”.
Un problema, quello del debito, toccato anche dal governatore di Bankitalia, alla sua ultima uscita pubblica in tale veste. “L’Italia è già riuscita a realizzare una riduzione significativa del rapporto debito-Pil, pari a circa 15 dei 20 punti di cui questa voce era aumentata a seguito dei lockdown iniziati nel 2020. Nel prossimo triennio, tuttavia, la flessione attesa nei programmi del governo è marginale”, ha puntualizzato Visco. Il quale ha ricordato come “nel 2026 il debito sarebbe pari a poco meno del 140% del Pil. Successivamente, in assenza di interventi, il rapporto rischierà di salire. In prospettiva, infatti, il costo medio del debito dovrebbe tornare a collocarsi su livelli più elevati del tasso di crescita nominale dell’economia e diventeranno più rilevanti gli impatti dell’invecchiamento della popolazione sulla spesa sociale”.
L’OCCHIO DEI MERCATI
Un debito elevato, come fatto intendere dallo stesso Profumo, vuol dire anche una maggior attenzione da parte dei mercati. I quali, va detto, fino ad oggi si sono mostrati benevoli e sereni verso l’Italia. Ma non bisogna dormire sugli allori. Perché “la risalita dello spread sui titoli di Stato dell’Italia deriva da vari fattori ma è superiore a quello di altri Paesi simili e riflette probabilmente il fatto che gli investitori temono per la capacità di sviluppo dell’Italia e percepiscono che, anche per questa ragione, il bilancio pubblico non è ancora in equilibrio”, ha rimarcato lo stesso Visco.
Tuttavia, sui timori attorno al debito italiano, secondo Visco “si può partire dalla considerazione che l’economia italiana dispone di fondamentali nel complesso solidi. Il risparmio del settore privato è elevato e il suo debito è contenuto. Il nostro sistema produttivo, pur caratterizzato da ritardi e inefficienze, mostra vitalità e capacità di competere sui mercati globali: lo conferma la posizione patrimoniale netta sull’estero del Paese, che è tornata positiva già dalla seconda metà del 2020 ed è oggi pari a circa il 5 per cento del prodotto. In questo quadro una rapida riduzione del disavanzo che preservi, come prima ricordato, la qualità della spesa, rafforzerebbe la sostenibilità a lungo termine del nostro debito pubblico”.
LA LINEA GIORGETTI
Terminato l’intervento di Visco, accompagnato da un sonoro applauso, la palla è passata al governo, ovvero al responsabile dell’Economia. Il quale è partito da una constatazione. “L’Italia nonostante le difficoltà del quadro globale continua a registrare una propensione al risparmio significativa che lungi dall’essere un elemento di ritardo culturale è invece un elemento decisivo di stabilità del sistema italiano nel suo complesso”. Un elemento, ha aggiunto, che “dovrebbe indurre gli osservatori esterni a valutare in termini meno critici la stabilità finanziaria dell’Italia”.
Giorgetti però ha subito dopo messo a fuoco il problema sollevato dai relatori precedenti, facendo esercizio di realismo. “La solidità dei conti pubblici non deve portare a sottovalutare il tema del livello elevato del debito, il nostro punto debole. Dopo anni di bassi tassi d’interesse e di impennata degli scostamenti per la pandemia e la guerra è suonata la sveglia ha aggiunto più debito significa più spesa per interessi che significa risorse sottratte a famiglie ed imprese”.
Quanto alla manovra, appena spedita al Parlamento, “garantisco che non è stato facile, nel confronto all’interno dell’esecutivo scremare le diverse istanze, tutte legittime” ma abbiamo deciso di “privilegiare il sostegno ai ceti meno abbienti” in questa fase in cui “l’inflazione ha ridotto la capacità di spesa: stabilità, responsabilità e prudenza sono le basi su cui si costruisce e si rafforza la fiducia. Senza fiducia non c’è risparmio e senza fiducia e risparmio non c’è crescita e senza crescita non c’è futuro”.