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Russia e Cina scelgono l’Onu per continuare a pressare l’Occidente su Israele

La partita a scacchi al Consiglio di Sicurezza dell’Onu si chiude con gli Stati Uniti che pongono il veto alla risoluzione russa su Israele (sostenuta solo da quattro voti tra cui quello cinese), e Russia e Cina che hanno posto il veto su quella americana. Mercoledì i Paesi del mondo si sono riuniti al Palazzo di Vetro per parlare della crisi militare aperta dal bestiale attacco di Hamas sabato 7 ottobre

“Abbiamo tutti un compito urgente da affrontare: porre fine alla violenza e aprire l’accesso umanitario a Gaza che hanno subito attacchi indiscriminati da parte di Israele e flagranti violazioni del diritto umanitario internazionale”, ha detto Vassily Nebenzia, ambasciatore russo. Una posizione che non trova concordi gli Stati Uniti, che difendono il diritto israeliano all’autodifesa dopo il brutale attacco del 7 ottobre, anche attraverso un’operazione di terra — che il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha annunciato con un discorso alla nazione. Pur marcando dei paletti: protezione dei civili e del diritto internazionale.

Per gli americani, un cessate il fuoco adesso farebbe il gioco di Hamas. Ne permetterebbe una riorganizzazione e Israele rischierebbe di sembrare debole davanti alle brutalità del terrorismo. Allo stesso tempo, Washington sta lavorando per evitare una catastrofe militare e umanitaria. La diplomazia cerca di veicolare questa posizione tra i Paesi alleati, innanzitutto quello regionale. Nei prossimi giorni la sottosegretaria di Stato per gli Affari del Vicino Oriente Barbara Leaf sarà negli Emirati Arabi Uniti, dopodiché proseguirà verso Qatar, Oman, Egitto, Giordania e Israele — e “potrebbero essere aggiunte ulteriori fermate”, spiega State Department ai giornalisti. Prenderà il testimone dal suo capo, il segretario Antony Blinken, l’uomo che ha finora guidato attivamente la diplomazia attorno alla crisi. Dove Washington ha messo in campo anche la military diplomacy, con consiglieri militari inviati in Israele (e nella regione) con l’obiettivo di portare gli alleati a una riflessione tattica sull’operazione.

Partita scacchi russo-cinese, a distanza

La Russia e la Cina restano distanti da queste dinamiche. Evitano il coinvolgimento diretto, usano la loro influenza regionale per mantenere i contatti con i partner, giocano al rialzo sui contesti multilaterali come quello onusiano.

Il ministero della Difesa russo ha per esempio fatto sapere tramite la Tass che aerei statunitensi — tra cui otto aerei F-15 e quattro F-16, un MQ-9 Reaper e due droni MQ-1C Grey Eagle — hanno violato lo spazio aereo siriano 15 volte soltanto in giorno. È un doppio messaggio: da un lato Mosca sottolinea che ha il controllo dei cieli della Siria e però non intralcia le attività americane per buon senso (ma può avere leve nella partita militare e securitaria regionale); dall’altro, racconta a una serie di interlocutori che gli Stati Uniti violano il diritto internazionale anche se ne chiedono il rispetto.

È un gioco psicologico, fatto di informazioni alterate e altre parziali che ha come obiettivo l’opinione pubblica internazionale e nello specifico quella di una vasta parte di mondo non-occidentale. Quella che adesso viene definita “Global South”, che Pechino e Mosca aizzano costantemente (attraverso propaganda e alterazioni della realtà) contro il cosiddetto “Nord”, ossia l’Occidente.

C’è effettivamente una serie di Paesi che per ragioni disparate (sicurezza, aumento dei costi delle materie prime, equilibri interni) vuole lo stop immediato degli scontri — come vorrebbe la fine della guerra russa in Ucraina. E per questo far percepire l’Occidente come movimentatore del conflitto — in Medio Oriente come in Ucraina — diventa utile per la narrazione strategica.

Come nel caso specifico citato dalla Tass, con gli arerei statunitensi chiamati a proteggere i soldati che sono ancora acquartierati in Siria, dopo aver combattuto lì e in Iraq lo Stato islamico, mentre vengono attaccati dalle milizie movimentate dall’Iran. Attorno alla guerra all’Is d’altronde hanno preso vento tante delle linee propagandistiche attuale, con i russi impegnati nella revisione dei fatti — come con la lotta al nazismo — intestandosi il successo delle campagne contro il Califfato, anche se in realtà non l hanno quasi mai combattute, interessati soltanto a proteggere il regime amico di Damasco.

“La bozza (delle risoluzione americana, ndr) non riflette le più forti richieste del mondo per un cessate il fuoco, la fine dei combattimenti, e non aiuta a risolvere il problema”, ha replicato l’ambasciatore cinese alle Nazioni Unite, Zhang Jun al consiglio dopo il voto. “In questo momento, il cessate il fuoco non è solo un termine diplomatico. Significa la vita e la morte di molti civili”.

Convergenza anti-occidentale

Il caos informativo attorno alla crisi mediorientale è alimentato anche da un aumento complessivo della disinformazione basata sull’intelligenza artificiale, analizza il Soufan Center, sulla scia di cosa sta accadendo da quando il pubblico ha ottenuto un accesso diffuso ai grandi modelli linguistici (LLM) e ad altri strumenti di intelligenza artificiale generativi alla fine del 2022, con “attori malintenzionati che cercano di eseguire le loro campagne di influenza in modo più efficiente e meno dispendioso in termini di risorse”.

Cina e Russia, con il supporto dell’Iran, stanno esaltando la violenza, promuovendo l’odio e diffondendo le loro verità sulla situazione in Medio Oriente, ha studiato l’Institute for Strategic Dialogue (ISD), un think tank londinese che ha valutato l’impennata della disinformazione online, in particolare sui social media, e a un aumento dei “discorsi di odio e violenza”, compresi i contenuti tanto antisemiti quanto islamofobici. L’0obiettivo dell’infowar, d’altronde non è definire un campo, ma creare caos, disarticolarli gli equilibri, scomporre l’ordine.

“L’attività è portata avanti da agenti statali che stanno sfruttando la crisi per promuovere le proprie agende geopolitiche”, scrive l’Isd, secondo le proprie peculiarità. Per esempio, gli account iraniani affiliati alle strutture della teocrazia hanno esaltato l’attacco di Hamas, mentre quelli russi hanno promosso la narrativa anti-occidentale e anti-ucraina, e gli account dei media statali cinesi hanno adattato il loro approccio a seconda della piattaforma utilizzata.

Secondo Julia Smirnova, analista senior di ISD, questo sfruttamento della situazione esacerba la polarizzazione, col risultato di approfondire la sfiducia verso le istituzioni democratiche e i media. Risultati che per altro, come già accaduto in passato, toccano anche direttamente le opinioni pubbliche occidentali, con le piazze europee che si sono fatte sponda di questo genere di propaganda in alcune manifestazioni anti-israeliane.

Il voto venerdì

In seguito all’impasse nel Consiglio di Sicurezza, venerdì l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, voterà su una bozza di risoluzione presentata dagli Stati arabi che chiede un cessate il fuoco. All’interno dell’Assemblea Generale, nessun Paese ha il diritto di veto. Le risoluzioni non sono vincolanti, ma hanno un peso politico. E dai risultati si potrà leggere in controluce anche l’effetto dell’infowar articolata contro l’Occidente.

Per ora, dopo il doppio veto, il Consiglio di Sicurezza ha votato su un testo alternativo proposto dalla Russia, che chiedeva un cessate il fuoco umanitario e il ritiro dell’ordine di Israele ai civili di Gaza di spostarsi a sud prima di un’offensiva terrestre. La Russia non è riuscita a ottenere il sostegno minimo necessario, ricevendo solo quattro voti, mentre per l’adozione di una risoluzione sono necessari almeno nove voti e nessun veto da parte dei cinque membri permanenti.

Questo è stato il secondo tentativo di risoluzione da parte della Russia. In precedenza, il 16 ottobre, solo cinque membri del Consiglio avevano votato a favore del testo russo. I dieci membri eletti del Consiglio di Sicurezza intendono ora lavorare su una nuova bozza di risoluzione, ha dichiarato l’ambasciatore maltese alle Nazioni Unite, Vanessa Frazier. “Questa crisi è anche caratterizzata dal crescente rischio di un coinvolgimento regionale. Ciò richiede la nostra totale attenzione”, ha dichiarato. “Abbiamo il dovere e l’obbligo di agire”.


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