Conte e Schlein sotterrano, momentaneamente, l’ascia di guerra per sostenere i candidati a Monza e Foggia. Ma il banco di prova vero saranno le elezioni europee. Il rischio è che la politica italiana non sia pronta alle sfide di un mondo che sta profondamente mutando in termini geopolitici. Meloni all’estero ha ottenuto buoni risultati, ma ora deve abbandonare Orban. Conversazione con il sociologo Segatori
Il centrosinistra prova a marciare unito e a sotterrare, momentaneamente, il punzecchio ormai quotidiano tra i due leader di Movimento 5 Stelle e Pd, Giuseppe Conte ed Elly Schlein. I due fronti sono le suppletive di Monza, in cui la sfida sarà tra Adriano Galliani (spinto dal centrodestra, nel solco dell’eredità berlusconiana) e Marco Cappato (militante radicale sostenuto dal momentaneo allineamento delle forze di centrosinistra). A Foggia la partita per il centrosinistra potrebbe portare qualche soddisfazione: Maria Aida Episcopo è una candidata dal profilo civico che, in sostanza, piace a tutti. Ma questo appuntamento elettorale “rappresenta un assaggio simbolico dello scenario politico che si profilerà. Il quadro politico italiano è in continua evoluzione e la vera prova saranno le elezioni europee”. A dirlo a Formiche.net è Roberto Segatori, sociologo e professore ordinario di Sociologia dei processi politici a Unipg.
Professor Segatori, quelle di Monza e Foggia sono elezioni che testeranno la compattezza sia del centrodestra che del centrosinistra. Benché siano consultazioni territoriali, che tipo di segnali arriveranno?
Difficile a dirsi e, tendenzialmente, ridimensionerei la portata di questo appuntamento elettorale. Nel caso di Monza sarà però interessante capire come risponderà l’elettorato. È chiaro che da una parte si è presentata una candidatura – quella di Adriano Galliani – che raccoglie e si muove nel solco dell’eredità di Silvio Berlusconi. Dall’altra il radicale Cappato. Resta da capire se gli elettori propenderanno per il “vecchio” per la paura del nuovo oppure se sceglieranno la svolta.
Come valuta, in questa fase, il rapporto fra Conte e Schlein?
Mi pare che più che altro il rapporto fra i due sia minato da interessi tattici più che da reali differenze di merito. Conte, benché rappresenti un partito populista si è allineato a un certo tipo di istanze che in buona parte collimano con l’idea di sinistra che ha la neo segretaria del Pd. È evidente che immaginare un’alternativa di governo o comunque un’alleanza sulla base di questi presupposti è difficile. Considerando anche il fatto che la parte centrista del centrosinistra è profondamente lacerata.
Una volta vinceva chi riusciva a “occupare” il centro.
Sì, ma paradossalmente adesso il centro – che resta una parte dalle straordinarie potenzialità – è più “occupato” da Giorgia Meloni piuttosto che dai partiti centristi. Azione e Italia Viva si sono definitivamente separate. Matteo Renzi ha un’affidabilità molto limitata dettata anche dai suoi rapporti poco trasparenti a livello internazionali. Carlo Calenda ha delle pretese in termini di leadership. E qui si consuma lo scontro sul personalismo.
La sfida delle europee come la vede?
Parto da più lontano. Il quadro politico mondiale è in una fase di profonda trasformazione di equilibri in termini geopolitici. E, le implicazioni di altri player internazionali nell’ambito dei conflitti in corso – Ucraina e Israele – ne sono la dimostrazione. Il mio timore è che l’Italia non sia pronta a cogliere queste sfide. E, tra l’altro, l’Europa ha dei grossi problemi in termini di coesione e di visione: sta trascurando le sfide decisive a partire da quella sulla difesa comune.
Il risultato elettorale polacco come si inserisce in questo quadro?
La vittoria di Donald Tusk è molto positiva perché in qualche modo rafforza l’asse europeista e liberal-democratico. Ed è positivo che, nell’impostazione della politica estera, il premier Meloni si sta allineando alla linea filo-europea. Mentre Matteo Salvini soffia sul fuoco, cercando di cavalcare le paure delle persone come fece nel 2019.
A un anno dall’insediamento del governo, qual è la sua valutazione dell’operato di Meloni?
Sicuramente la portata dell’azione politica ha dato risultati più significativi sul fronte della politica estera, nella quale di fatto ha scelto la linea atlantista. Anche se il legame così solido agli Stati Uniti, benché positivo, nasconde una profonda debolezza dell’Italia nell’essere riconosciuta come player autonomo in politica estera. Ora per lei si pone il grande tema delle alleanze: può continuare nell’alveo tracciato, mantenendo il legame con Orban?
Anche sulla manovra l’esecutivo sta riscontrando qualche difficoltà…
La stesura di questa Finanziaria deve tenere conto senz’altro di uno scenario molto complesso, sia internamente che a livello internazionale. L’aumento del debito ha portato come conseguenza naturale il peggioramento delle valutazioni sul nostro Paese del nostro rating. La svalutazione è altissima. Insomma, nel complesso si configura il rischio che questa manovra crei più criticità che benefici.