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Schumer da Pechino scopre il gioco di Xi Jinping su Hamas

Il senatore democratico americano Schumer ha usato la visita a Pechino per chiedere a Xi Jinping impegno nella crisi tra Israele e Hamas. Fardella (L’Orientale/ChinaMed) spiega la neutralità pro-palestinese di Pechino

Chuck Schumer, leader della maggioranza al Senato statunitense, ha incontrato a Pechino il segretario del Partito Comunista Cinese, Xi Jinping. Schumer, tra i democratici più vicini a Joe Biden, ha guidato una delegazione parlamentare nella capitale cinese che fa parte dei contatti messi in campo da Washington per mantenere vivi i rapporti bilaterali tra le due principali potenze globali.

Il leader politico americano ha usato la visita e il suo standing personale per criticare la Cina di non aver espresso chiaramente il proprio supporto a Israele e ha suggerito a Pechino di esercitare influenza sull’Iran — che a suo dire sarebbe stata confermata da Xi stesso — per impedire un estensione del conflitto. La base della discussione è stata una dichiarazione blanda rilasciata da Pechino sulla situazione in Medio Oriente. Il governo cinese invitava “le parti interessate a rimanere calme, esercitare moderazione e porre immediatamente fine alle ostilità per proteggere i civili ed evitare un ulteriore deterioramento della situazione”.

La mossa di Schumer ha avuto un effetto immediato, con Xi che dopo l’incontro ha un leggermente aumentato la consistenza della linea cinese sostenendo la “condanna di tutte le azioni contro i civili”, sebbene non sia stata menzionata Hamas. Il  democratico americano è stato mosso da due generi di interessi: primo, un coinvolgimento iraniano potrebbe essere l’unica motivazione che porterebbe gli americani a essere effettivamente attirati nel conflitto in corso (cosa che Washington vuole evitare); secondo, la crisi è un test delle capacità politiche diplomatiche della Cina (come scrive anche l’Asia Nikkei) e dunque gli Stati Uniti potrebbero andare a vedere il gioco cinese. La situazione espone i limiti della capacità di Pechino, come ha notato l’ex direttore delle attività sulla Cina al Consiglio di sicurezza nazionale statunitense, Ryan Hass.

La risposta cinese agli attacchi di Hamas si è basata su tre punti: condannare atti contro la popolazione civile che portano a escalation e destabilizzazione, riattivare i dialoghi per la pace e portare avanti la creazione di uno stato palestinese, fa notare Enrico Fardella, promotore del progetto China Med e docente all’Università di Napoli L’Orientale. ”Cosi facendo da una parte pone Israele e Hamas su uno stesso piano morale, condannando le azioni contro i civili compiute da entrambi, e dall’altra sostiene la creazione di uno stato palestinese come soluzione della crisi. Pechino assume dunque una posizione simile a quella presa sul fronte ucraino”.

La linea cinese sulla guerra russa in Ucraina è stata spesso criticata, accusata di ambiguità e scarsa trasparenza. Se in Ucraina si parlava di una “neutralità pro-russa” in questo caso si tratta di una “neutralità-pro palestinese”. “La neutralità è funzionale a massimizzare la propria flessibilità diplomatica proponendosi come unica grande potenza capace di dialogare con entrambe le parti. Ciò serve a conquistare consensi al centro (tra tutti quegli attori critici verso il governo Netanyahu ma al contempo disgustati dalle brutalità di Hamas), mostrando la superiorità della propria azione diplomatica a fronte di quella americana decisamente orientata a favore di Israele. La componente pro-palestinese invece serve a raccogliere consensi a sinistra, ossia nell’area filo-palestinese, anti-israeliana (e dunque anti americana) dentro e fuori il Medio Oriente.”, spiega Fardella.

L’obiettivo di Pechino dunque non è tanto quello di investire per risolvere i conflitti locali, tantomeno lasciarsi coinvolgere in essi, quanto quello di bilanciare la propria presenza regionale al fine di espandere le proprie aree di influenza, ridimensionare gli spazi di azione degli Stati Uniti e promuovere modelli cinesi di governance. Nella posizione sulla crisi Israele-Hamas si legge questo: la linea scelta da Schumer lo evidenzia. Ciò porta al secondo punto sollevato dai senatori americani nel loro incontro con il leader cinese: il ruolo dell’Iran.

“Chiedere a Pechino di utilizzare la propria influenza sull’Iran per evitare l’escalation — continua il docente italiano, che ha anni di esperienza in Cina —significa tentare di rafforzare la parte più di ‘centro’ della sua diplomazia, quella effettivamente neutrale, utile a smussare gli angoli del rapporto bilaterale con Washington per provare a co-gestire la crisi in atto. Se la Cina ha una reale influenza sull’Iran, come lo stesso XI avrebbe dichiarato, un’eventuale coinvolgimento di Teheran nella crisi attuale rivelerebbe infatti un posizionamento più radicale di Pechino nel conflitto regionale”.

Sul fronte Ucraino questa manovra è stata tentata varie volte sia dagli Stati Uniti che dalla Unione Europea, con l’obiettivo di far parlare la Repubblica popolare con la Russia, ma nonostante qualche oscillazione tattica il neutralismo pro-russo di Pechino è rimasto intatto.

Fardella fa notare che Ali Barakeh, uno dei leader di Hamas che vive protetto a Beirut, in un’intervista alla Associated Press ha definito le forze armate israeliane (il Tsahal) una “tigre di carta” richiamando uno dei simboli più cari a Mao Zedong. “Gli americani sono tigri di carta diceva Mao: sembrano potenti ma sono fragili e il Partito Comunista Cinese ha il compito di rivelarne la debolezza collaborando con tutte le forze ostili alla loro influenza Se questa tradizione continuerà a influenzare l’azione di Pechino in questa regione è evidente che in Medio Oriente, come in Ucraina, la posizione cinese resterà invariata”.

La linea cinese è interessante anche alla luce dei recenti annunci del primo ministro israeliano, Benajamin Netanyahu, che appena tre mesi fa si è fatto fotografare nel suo studio con una copia con dedica del libro in cui Xi ha articolato il suo pensiero strategico, mentre annunciava una sua imminente visita a Pechino irritando gli alleatissimi americani. Una posizione di apertura su cui l’apparato di Sicurezza israeliano ha dei dubbi, legati al rischio di furto di proprietà intellettuale su nuove tecnologie e agli stretti legami della Cina con l’Iran.

Conversazione tratta da Indo Pacific Salad, la newsletter curata da Emanuele Rossi


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