L’invio della Uss Ford e del suo Carrier Strike Group nelle vicinanze di Israele non ha solo un significato diplomatico. Ecco i possibili impieghi concreti delle sue capacità
Il sostegno statunitense a Israele è una delle grandi costanti nella storia del Paese ebraico. E anche all’indomani della grande offensiva di Hamas, l’impegno di Washington è stato immediato, e non solo sul piano diplomatico. Nelle ore immediatamente successive all’inizio degli scontri in territorio israeliano, il comando della Marina Militare statunitense ha ordinato alla portaerei Uss Ford e al suo Carrier Strike Group 12 (impegnato in manovre di addestramento con la Marina Militare italiana) di fare rotta verso il Mediterraneo Orientale, zona effettivamente raggiunta dal raggruppamento navale dopo poche ore.
Quest’azione ha un duplice scopo. Da una parte essa è infatti interpretabile come un signaling nei confronti di altri attori della regione (su tutti Hezbollah ed Iran) di non allargare il conflitto attualmente in corso tra Israele ed Hamas. Dall’altra, permette effettivamente alla Us Navy di essere un ulteriore punto di appoggio per compiere azioni militari a sostegno dell’alleato israeliano qualora ve ne fosse effettivamente bisogno. Israele è storicamente contraria ad ogni tipo di intervento militare straniero sul suo territorio, ma nell’eventualità di un drastico deteriorarsi della situazione nessuno scenario è da escludere.
Le opzioni di supporto che il Carrier Strike Group 12 è in grado di fornire a Tel Aviv sono varie, e spaziano attraverso le categorie.
La prima è quella dell’intelligence. Oltre alla strumentazione integrata nel vascello stesso, a bordo della portaerei americana sono imbarcati gli E-2 Hawkeye. Grazie al radar di 7 metri di diametro montato sul dorso, i velivoli costruiti dalla Northrop Grumman sono in grado di rilevare movimenti di unità aeree e navali nemiche, nonché eventuali vettori missilistici.
Un’altra dimensione dove l’intervento della Ford potrebbe avere luogo è quella logistica. Gli elicotteri presenti sulla portaerei americana potrebbero svolgere operazioni di trasporto di uomini e/o materiale tanto in ambito militare quanto in uno umanitario, in entrambe le direzioni: a bordo della nave vi è infatti un ospedale da campo con più di 40 medici e un reparto di terapia intensiva che può all’occasione essere impiegato per il trattamento di feriti negli scontri — o dei cittadini americani presenti sul suolo israeliano.
Infine vi è l’opzione cinetica, che può assumere diverse forme. Una di queste potrebbe essere l’impiego dei sistemi d’arma della Ford e degli altri vascelli del suo gruppo in funzione anti-missile, soprattutto nel caso di una decisione di Teheran (l’unico attore a disporre in massa di questi vettori) di attaccare Israele con una campagna missilistica. Un intervento più marcato potrebbe vedere invece l’impiego degli stessi missili americani, così come dei velivoli imbarcati, contro bersagli ostili terrestri.
Quest’ultima opzione, al momento non realizzabile, potrebbe verificarsi soltanto in caso di escalation del conflitto: nel caso di un già menzionato intervento di Teheran o di un’offensiva su larga scala della milizia libanese Hezbollah. Passi che potrebbero seguire l’imminente operazione terrestre, con Hezbollah che ha già annunciato che “entrerà in guerra” quando lo riterrà necessario (non “se”), e l’Iran che è costantemente tirato in ballo visti il suo ruolo di fornitore per Hamas e i gruppi anti-occidentali e anti-Israeliani nella regione.
Alle capacità del Carrier Strike Group 12 si aggiungeranno presto quelle del gruppo guidato dalla portaerei Dwight D. Eishenower, che nelle scorse ore è salpata dalla base di Norfolk verso il Mediterraneo. Dietro questa decisione vi è l’intenzione dello Stato Maggiore statunitense di disporre di un sufficiente numero di capacità nel bacino mediterraneo per poter reagire sia gli sviluppi della crisi in Medio Oriente che di quella in Ucraina.
Le due portaerei sono assetto aggiuntivi a quello già presenti nella regione, e in Europa — già posti in fase dì mobilitazione. Da qualche giorno si parla anche dell’arrivo di alcuni team di Navy Seals, attualmente acquartierati in una base di un Paese europeo “vicino” a Israele. Il ruolo degli specialisti americani è probabilmente incentrato sulla ricerca degli ostaggi di nazionalità statunitense. Le operazioni saranno guidate dagli israeliani comunque, ma i Seal potrebbero avere un ruolo da consiglieri — e se serve anche più attivo.