Le più grandi aziende di telecomunicazioni europee hanno scritto una lettera a Bruxelles per chiedere che anche le Big Tech contribuiscano ai costi per le infrastrutture in fibra ottica e 5G. Parlamento e Commissione studiano la questione, ma le aziende si oppongono: investiamo già miliardi sulle reti, sono i nostri contenuti a far abbonare gli utenti. Cosa si è detto a Comolake 2023, la prima edizione su innovazione e tecnologia
Se lo vuoi, paghi. La sollecitazione che alcune delle più grandi compagnie di telecomunicazioni europee hanno presentato a Bruxelles non farà piacere alle Big Tech, chiamate a contribuire economicamente se vogliono continuare a sfruttare i servizi che le aziende IT mettono a loro disposizione. Si tratta quindi di adottare un “nuovo approccio”, perché “gli investimenti futuri sono sottoposti a forti pressioni ed è necessario un intervento normativo per garantirli”, fanno sapere in una lettera firmata in comune dai vari Ceo delle aziende. Tra queste, i leader del settore BT, Deutsche Telekom, Orange, Telecom Italia e Telefonica. Il traffico di dati sta aumentando al ritmo del 20-30% ogni anno ma, senza un adeguato ritorno, la crescita non può trasformarsi in un qualcosa di positivo, scrivono i manager.
I costi da coprire riguardano soprattutto le infrastrutture che servono per garantire il funzionamento dei servizi, a cominciare dalla connettività garantita dal 5G e la fibra ultraveloce. Attraverso i contributi che riceverebbero, gli operatori li reinvestiranno direttamente nelle reti digitali europee, seguendo quanto espresso dal Parlamento di Strasburgo questa estate che ha chiesto ai grandi generatori di traffico di contribuire “in modo equo al finanziamento adeguato delle reti di telecomunicazioni, senza pregiudicare la neutralità della rete”. Esempi concreti di chi dovrebbe compiere uno sforzo in più sono Netflix, Amazon, Meta e Google. Il tutto segue quanto espresso dalla Commissione europea un anno fa, più in particolare dal commissario al Mercato Unico Thierry Breton (ex capo di Orange, telco francese) e dalla commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, che aveva annunciato di voler approfondire la questione per osservare attentamente se questi attori dovessero contribuire in modo più attivo.
Da parte loro, le aziende tecnologiche ritengono di fare già abbastanza, investendo miliardi di euro in data center e cavi sottomarini (come quello su cui sta lavorando Google per collegare il nord Italia al Medio Oriente), oltre a sviluppare nuovi servizi. Anzi, rilanciano affermando che la richiesta dei giganti delle telecomunicazioni mette in pericolo il principio di neutralità della rete, in quanto alcuni verrebbero esclusi – quelli che non pagano o non lo fanno abbastanza.
Gli operatori “sono cresciuti grazie ai contenuti e ai servizi interessanti sviluppati da aziende creative e tecnologiche”, ha commentato Daniel Friedlaender, responsabile della CCIA Europe, che difende le ragioni dell’industria tech. “Ora stanno cercando di ingannare l’Europa per ottenere denaro extra. Le telecomunicazioni vogliono che le loro reti siano completamente sovvenzionate dalle stesse aziende che le hanno aiutate a crescere e a prosperare. In definitiva”, ha spiegato, “questi giganti vogliono far pagare ai consumatori europei una seconda volta attraverso i canoni di rete, che si aggiungono al loro abbonamento”.
Friedlaender è stato protagonista anche al Comolake 2023, la grande conferenza sull’innovazione alla prima edizione a Cernobbio, intervenendo durante il panel “Fair Share o tassa su internet: la disputa operatori TLC e fornitori di contenuti”. Era uno degli argomenti più “caldi” del programma, a cui hanno presto parte anche la direttrice dell’ufficio di Bruxelles di WIK-Consult, Ilsa Godlovitch, l’Head of Government Affairs and Public Policy di Google Italy, Diego Ciulli. Prima di loro è intervenuto l’ad di Tim , Pietro Labriola, tra i firmatari della lettera inviata all’Unione europea. “Servono regole nuove. E occorre farlo velocemente”, ha avvertito. Altrimenti, “tra due anni rischiamo di non esserci più perché altri che non hanno le stesse nostre regole hanno un vantaggio competitivo. Se c’è una regolamentazione deve valere per tutti, altrimenti questa industria rischia di non esserci più”.
“È come mettere l’ananas sulla pizza”, ha esordito Friedlaender per spiegare quanto la misura sia a suo dire fuori luogo. “Una delle priorità è di sostenere la digitalizzazione continua, che porta benefici al Pil. E non tornare indietro con nuove tasse e commissioni, perché questo è quello che si farebbe. Noi non vogliamo che i consumatori paghino per questo, specie per un costo nascosto” ha detto facendo eco a Ciulli che aveva sottoposto la questione.
“L’intera Europa è contro questo provvedimento” ha aggiunto il responsabile della CCIA. “Non è nel nostro interesse far pagare dando la colpa agli altri. Alle aziende verrà detto che dovranno pagare ma costringerle a negoziare in questo modo non risolve il problema dei costi delle reti. Un maiale con la parrucca è sempre un maiale”, ha ironizzato. “Pensiamo che se le aziende Telco vogliono trovare ulteriori fondi, anche se pagano dividendi record, esistono altre soluzioni semplici che non danneggiano il resto dell’Europa. Ne stiamo cercando una che non crei problemi. Molti articoli hanno sottolineato alcuni dati che sostengono la nostra tesi, ovvero che c’è denaro sufficiente per investire e farlo bene”.
“Il punto chiave”, ha detto Friedlaender in chiusura del suo intervento, “è che ogni persona e settore saranno danneggiati da questo balzello ingiusto, che sia il traffico dei singoli individuo o altro, che distruggerà anni di partnership commerciali che hanno costruito l’Europa. Non vogliamo che la cooperazione esploda. Dobbiamo distruggere le barriere, non crearne di nuove che minano il progresso tecnologico”.