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Una riforma giusta. Così la Fed tenta di persuadere i banchieri

Il vicepresidente della banca centrale, Michael Barr, incontra l’American bankers association per cercare una sponda sulle nuove regole che poggiano sul rafforzamento del patrimonio degli istituti. Ma i dubbi dei manager rimangono

Il tentativo andava fatto. Difendere senza se e senza ma la riforma del sistema bancario americano, che poggia sul rafforzamento del capitale, grazie al quale alzare uno scudo contro nuove e possibili future crisi. Per questo la Federal Reserve, unitamente alla Federal insurance deposit (l’autorità di vigilanza sul risparmio), ha deciso di incontrare i grandi banchieri americani, per spiegare la riforma e far passare la linea del governo. Molti pesi massimi del credito, a cominciare da Jp Morgan, si sono finora dimostrati ostili alle nuove regole sui capitali, accusando la vigilanza di voler porre le basi per una fuga degli azionisti e degli investitori.

Il confronto, avvenuto tra il vicepresidente della Fed, Michael Barr e i banchieri riuniti all’American bankers association, era dunque molto atteso. Tre, essenzialmente, i capisaldi del discorso di Barr. Primo, i benefici derivanti dal rafforzamento del capitale bancario superano i costi. Secondo, i suddetti requisiti patrimoniali più elevati potrebbero aumentare i costi di finanziamento per le banche, ma consentiranno loro di assorbire maggiori perdite e, terzo, i successivi aumenti di capitale avrebbero un impatto principalmente sulle operazioni bancarie, mentre avrebbero un impatto limitato sui costi dei prestiti bancari.

“Mentre le banche aumentavano i loro cuscinetti di capitale, la loro redditività cresceva, così come la loro valutazione di mercato”, ha affermato Barr. “Con questo intendo respingere le argomentazioni secondo cui un rafforzamento del capitale potrebbe danneggiare l’economia”. Insomma, una difesa a spada tratta delle riforma. Ma i banchieri a stelle e strisce continuano a rimanere perplessi.

Poche settimane fa, intervenendo a una conferenza stampa a New York, il presidente e ceo di Jp Morgan, Jamie Dimon, ha criticato le regole più rigide sui patrimoni, proposte dalle autorità di regolamentazione statunitensi, accusandole di indurre gli investitori e gli azionisti a ritirarsi e ostacolare così la crescita economica. Il messaggio è chiaro, più capitale vuol dire un esborso maggiore da parte dei soci di una banca. Se poi le regole sono stringenti, come pare, si tratterebbe di un vero e proprio salasso, il che potrebbe spingere gli attuali azionisti a un disimpegno.

“La proposta di richiedere alle banche di accantonare più capitale per proteggersi dai rischi è stata estremamente deludente e ha comportato una mancanza di trasparenza da parte dei regolatori”, aveva attaccato Dimon. “Con queste regole non sarei un grande acquirente di una banca, tutto quello che voglio è equità, trasparenza, apertura”. Il numero uno di Jp Morgan era ed è consapevole che le banche statunitensi da mesi stanno accantonando ingenti quantità di capitale, proprio per evitare che nuovi possibili shock, a cominciare dal rallentamento dell’economia globale che ormai sembra certo, mandino a gambe all’aria altri istituti. Le cifre, ancora ballerine, parlano di poco meno di 3.300 miliardi di dollari, in termine di riserve accumulate. Ma non bisogna andare oltre.

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