La Cina purga il ministro della Difesa sanzionato dagli Usa. La campagna di repulisti interno è vasta, e tocca pure Finanze e Scienza, ma è interessante che gli annunci arrivano con l’avvicinarsi del vertice Biden-Xi
La Cina ha annunciato di aver rimosso dal suo incarico il ministro della Difesa, Li Shangfu, due mesi dopo che era scomparso dalla vita del pubblico. È la seconda recente rimozione di alto profilo senza alcuna spiegazione fornita, dopo quello di Qin Gang, il ministro degli Esteri. Nonostante il ruolo formale, entrambi sono figure di carattere secondario nel sistema statale cinese: Li per esempio era sottoposto al potere della Commissione Militare Centrale, guidata dal segretario del Partito Comunista Cinese e dai due vice; Qin aveva sopra di lui l’Ufficio della Commissione Centrale per gli Affari Esteri del Comitato Centrale del Partito.
Questa volta la tempistica che porta Wang Yi — ex capo politico di Qin e ora anche ministro — a Washington e il probabile incontro tra i leader, Joe Biden e Xi Jinping, rende la cosa più frizzante. Soprattutto se si considera che Li era sanzionato dagli Stati Uniti per aver supervisionato — ai tempi in cui era il responsabile del Dipartimento per lo sviluppo delle attrezzature della Commissione militare centrale dell’Esercito popolare di liberazione — all’acquisizione di materiale militare russo. Le sanzioni applicate su di lui erano quelle secondarie, collegate all’annessione russa della Crimea del 2014.
Con ogni probabilità la decisione non si collega al conto aperto di Li con Washington, ma potrebbe rientrare in una campagna di repulisti interna in cui il settore della Difesa è coinvolto da mesi. Si parla di corruzione (per Li il sospetto ricade in una gara di appalto del 2017) e di potenziale insubordinazione ai meccanismi del Partito/Stato. Inaccettabile per Xi, che ha basato parte del suo potere sul controllo delle Forze armate e sul rafforzamento militare della Cina. Quello che accade in certi regimi ha spesso valore e uso interno: deve servire da messaggio nel solco della narrazione (che parla di trasparenza e sacrifici, e dove non ci deve essere minimo spazio per polemiche sulla corruzione).
Tuttavia, l’aspetto della sovrapposizione temporale è quello più particolare. Perché Pechino ha atteso così tanto tempo per far uscire la notizia dell’estromissione e poi l’ha annunciata in questo momento? Val la pena ricordare che mentre i dialoghi di carattere diplomatico e legati alla sfera economica-commerciale sono proceduti con ordine negli ultimi mesi, con gli Stati Uniti c’è quasi una totale assenza di dialogo a livello militare.
Il Pentagono aveva fatto in modo di costruire la base legale per un incontro tra Li e il segretario Lloyd Austin, nonostante le sanzioni. Aveva provato a incastrare le agende dei due ministri in più di un’occasione, per esempio questa primavera allo Shangai-La Dialogue di Singapore, ma Pechino aveva sempre dato buca. Ragione: senza l’eliminazione delle sanzioni su Li, non sarebbe stato utile parlare. Ora ha scelto di eliminarlo dalla scena.
Sempre oggi, sono stati rimossi anche i ministri delle Finanze e della Scienza. Xi ha firmato un decreto, emanato dopo la sesta riunione del Comitato permanente del Congresso Nazionale, che ha decretato la rimozione di Liu Kun come ministro delle Finanze, sostituendolo con Lan Fo’an, e di Wang Zhigang come ministro della Scienza e della Tecnologia, con Yin Hejun che assume il suo incarico. Entrambi Lan e Yin avevano precedentemente ricoperto il ruolo di capi del Partito nei rispettivi ministeri. Essere fedeli al partito, paga.