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Debito, inflazione e Brics. Tutte le ombre sull’Argentina di Milei

Il nuovo presidente ha davanti a sé una serie di sfide che più difficili non potrebbero essere. Dal convincere i mercati che i debiti si possono ripagare alla trattativa con il Fondo monetario. Fino a tagliare i ponti con la Cina e mettere in sicurezza un’inflazione al 140%

La mente va al drammatico default del 2001, quando i titoli di Stato emessi dalla Casa Rosada, i famosi Tango bond, divennero improvvisamente carta straccia, lasciando centinaia di migliaia di risparmiatori senza più un soldo.

Poi ci fu il 23 dicembre di 20 anni fa, quando il neoeletto presidente Adolfo Rodríguez Saá annunciò che l’Argentina avrebbe sospeso il pagamento del debito estero, confermando così il settimo default della sua storia su, per l’appunto, nove in totale. Si aprirono due anni di intensa crisi politica che si risolse solamente con l’elezione di Néstor Kirchner. A cavallo della pandemia, altre due bancarotte e sempre per il mancato pagamento degli interessi legati a un debito sovrano di quasi 419 miliardi, quasi 50 dei quali dovuti al Fondo monetario internazionale oltre che a fondi di stazza come BlackRock. Il nuovo presidente Javier Milei, che ha sconfitto il peronista Sergio Massa, può ripartire proprio da qui: da un debito costantemente fuori controllo e da un’inflazione al 142%.

ANATOMIA DI UN PRESIDENTE

Ma chi è Javier Milei? Economista di 53 anni con capelli spettinati e folte basette, ha attirato paragoni con l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il brasiliano Jair Bolsonaro per il suo stile abrasivo e le sue osservazioni controverse. Il canovaccio della sua politica economica sembra essere, nessuna regola, nessun vincolo. Il suo cavallo di battaglia è stato il progetto di abbandonare il peso, la moneta argentina, in crisi per il dollaro statunitense e di dinamizzare la Banca centrale per eliminare il “cancro dell’inflazione”.

Milei è contrario all’aborto, è favorevole alle armi, ha giurato di tagliare i legami con i principali partner commerciali dell’Argentina, Cina e Brasile, su tutti ha insultato Papa Francesco, ha messo in dubbio il bilancio delle vittime della brutale dittatura argentina e sostiene che gli esseri umani non sono alla base del cambiamento climatico. Fin qui i proclami. Poi però c’è la realtà dei fatti che il più delle volte non coincide con le speranze. E anche in questo caso non ci sono eccezioni.

UN PAESE IN AGONIA

La verità è che l’Argentina è in crisi profonda, da anni. E di questo Milei non può non tenere conto. Per evitare l’ennesimo tracollo dell’economia del Paese che non riesce ad essere solvente verso i creditori e rassicurante agli occhi dei mercati, la scorsa estate la Banca centrale argentina ha annunciato un aumento dei tassi di interesse di 600 punti base, portandoli dal 91 al 97 per cento, dopo il precedente rialzo di 10 punti percentuali autorizzato a fine aprile 2023.

Collateralmente si sono aperte le trattative con il Fondo monetario internazionale per anticipare il rilascio dei prestiti concessi all’Argentina tramite l’Extended Fund Facility, un programma che ha lo scopo di assistere i Paesi con problemi di bilancia dei pagamenti. L’accordo approvato a marzo del 2022 definisce i termini della restituzione di un debito di 44 miliardi di dollari nei confronti del Fmi e prevede un piano di stabilizzazione macroeconomica e finanziaria, volto in particolare a ridurre l’elevata inflazione e a rafforzare la sostenibilità del debito pubblico. Tutto, ancora, sulla carta. E toccherà a Milei mettere a terra il tutto, sempre che ci riesca.

L’altro problema si chiama inflazione, che continua a essere una piaga per l’economia del paese perché erode il potere d’acquisto dei consumatori e rende più oneroso il debito pubblico, che è espresso in dollari. Il forte rialzo dei prezzi è dovuto principalmente alla monetizzazione del debito pubblico: a seguito del default del 2020, il Paese non ha più potuto finanziarsi sui mercati internazionali e la Banca centrale argentina ha dovuto stampare pesos per coprire la spesa statale.

L’OMBRA DEL FMI

La spada di Damocle per Buenos Aires si chiama Fmi. Già due anni fa, quando infuriava la pandemia, Washington avvertiva circa i rischi dell’insostenibilità del debito argentino. Un monito giunto al termine di una visita di una settimana del Fondo nel Paese sudamericano. E anche ora ci sarà da sentire il fiato sul collo, nonostante lo scorso giugno il governo sia riuscito rifinanziare 36 miliardi di debito.

Si è trattato, come aveva spiegato l’allora sottosegretario alle Finanze, Eduardo Setti, della “più grande capitalizzazione della storia dell’Argentina in relazione al debito in pesos”.

TRA BRICS E CINA

Non è finita. Oltre ai numeri, ci sono i giochi della geopolitica. E qui entra in gioco la Cina. Pochi mesi fa i Brics, ovvero quel blocco di economie antagonista al G7 e guidato da Pechino e dalla Russia. Pochi mesi fa gli stessi Brics avevano annunciato l’ingresso di nuovi Paesi tra cui proprio l’Argentina. Obiettivo, fare massa critica e aumentare il peso specifico del blocco. Tutto sembrava filare liscio, visto anche che l’ultima tranche di rimborsi al Fmi è stata pagata in yuan. Ma ora con Milei, potrebbe arrivare l’altolà, anche perché tra i Brics figura il vicino Brasile.

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