L’anno che si sta per chiudere porta in dote una sostanziale promozione della politica economica del governo e una buona tenuta delle finanze. Ma da Via Nazionale già mettono le mani avanti, un debito troppo alto e un rallentamento della crescita potrebbero far cambiare il vento e gli umori degli investitori
Il 2023 di Giorgia Meloni si sta per chiudere e nemmeno tanto male. In ordine sparso, le agenzie di rating hanno tutte sostanzialmente promosso sia la manovra, il comparto bancario, le grandi partecipate e lo stesso debito sovrano. I mercati hanno dimostrato fiducia e pazienza, chiedendo un prezzo ragionevole per comprare debito, tanto è vero che lo spread Btp/Bund non si è mosso più di tanto. E infine, il negoziato per la riforma del Patto di stabilità si sta mettendo piuttosto bene, dopo le aperture della Germania, che fanno ben sperare per un accordo all’Ecofin di dicembre, decisivo per scongiurare il ritorno alle vecchie regole.
Un capitale e un credito non da poco quello accumulato dall’esecutivo italiano in questi mesi. Ma che, ed ecco il rovescio della medaglia, nel 2024 andrà non solo difeso ma anche preservato. Insomma, non sprecato. Il fatto è che la recessione in Europa, seppur più tecnica che reale, arriverà, le due guerre, Medio Oriente e Ucraina, alle porte del Vecchio continente avranno il loro peso e la previsione del governo di crescere dell’1,2% il prossimo anno è fin troppo ottimistica. E il debito costerà di più.
L’extradeficit per finanziare la manovra di bilancio, circa 14-15 miliardi, costerà all’Italia nei prossimi dieci anni 6,1 miliardi in interessi sul debito: si parte da 291 milioni di euro di maggiori oneri nel 2024 per arrivare a 891 milioni nel 2033. Al conto, poi, andranno aggiunte due variabili. Primo, eventuali nuovi rialzi dei tassi da parte della Bce, che impatteranno sul costo del debito e una riforma del Patto di stabilità che porti in dote, come in effetti sembra profilarsi, la proposta tedesca che prevede un deficit annuo tendente all’1%. Paletto decisamente stringente per l’Italia. Per questo la Banca d’Italia, nel suo ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria, presentato alla stampa in mattinata, se da una parte certifica la buona tenuta delle finanze italiane, dall’altra mette in guardia dai prossimi mesi.
“L’economia globale”, si legge nel documento di Via Nazionale, “sta rallentando e le prospettive di crescita sono condizionate dalle forti tensioni geopolitiche e dalla decelerazione dell’attività economica in Cina. L’inflazione nei paesi avanzati è in calo ma ancora superiore agli obiettivi della politica monetaria, che permane restrittiva. I timori di una restrizione monetaria più protratta del previsto hanno determinato dalla scorsa estate un peggioramento delle condizioni dei mercati finanziari internazionali, in gran parte riassorbito nelle ultime settimane. Sui mercati dei titoli di Stato a lungo termine, soprattutto negli Stati Uniti, i tassi sono fortemente aumentati e la volatilità rimane elevata”. Prima conclusione: l’economia sta entrando in una fase scivolosa e non è detto che l’inflazione se ne rimanga zitta e buona. Questo è il primo elemento che proietta l’Italia in un 2024 complesso.
Di qui, il discorso del debito. “In Italia i rischi per la stabilità finanziaria beneficiano del miglioramento delle condizioni del sistema bancario e del basso livello di indebitamento del settore privato, ma il contesto macroeconomico resta incerto. Oltre alla debolezza dell’economia globale, pesano l’alto debito pubblico, per il quale il quadro programmatico recentemente pubblicato dal governo prevede un calo solo marginale nel prossimo triennio, e i timori di un ritorno a una condizione strutturale di bassa crescita”. Per fortuna “la liquidità e il funzionamento del mercato secondario dei titoli di Stato non hanno risentito della riduzione dei titoli detenuti dall’Eurosistema, più che compensata dall’aumento degli acquisti da parte delle famiglie. Seppure favorevoli, le condizioni di liquidità sono comunque particolarmente sensibili alle notizie relative all’economia globale e alla politica di bilancio, oltre che alle decisioni di politica monetaria”.
Questo è un passaggio chiave, perché mette nero su bianco come il prossimo anno, in assenza di una traiettoria di rientro del debito più angolata e di nuovi shock dell’economia, i mercati potrebbero irrigidirsi con l’Italia. Ancor di più se, nell’ambito della riforma del Patto di stabilità, passasse la clausola tedesca sul deficit poc’anzi menzionata.
Sul fronte dell’economia reale, famiglie e imprese, le cose vanno meglio. “I rischi provenienti dal settore delle famiglie rimangono contenuti. La loro ricchezza finanziaria è cresciuta nel primo semestre dell’anno, a fronte dei bassi tassi di interesse sui depositi a vista le famiglie ne hanno ridotto le consistenze e hanno aumentato gli investimenti in attività finanziarie. Il rapporto tra indebitamento e reddito disponibile, già basso nel confronto internazionale, è sceso. Il tasso di deterioramento del credito è tuttavia salito, in particolare nel comparto dei mutui a tasso variabile”. E “il rallentamento economico e l’incremento dei costi di finanziamento incidono sulla situazione finanziaria delle imprese, la cui rischiosità si mantiene comunque nel complesso limitata. L’indebitamento in rapporto al Pil ha continuato a flettere, rimanendo ben al di sotto della media dell’area dell’euro”. I prossimi mesi Giorgia Meloni dovrà avere non due, ma quattro occhi.