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Grillo torna a fare il comico, e per la prima volta sembra politico

Spettacolo teatrale o primo discorso da vero leader? Beppe Grillo torna in televisione dopo 10 anni, riconoscendo errori e limiti di un movimento che nel provare a distruggere, ha distrutto sé stesso

“La politica… hai un’idea entri nell’istituzione e questa viene frammentata, ne resta il 10 per cento”. È lo stesso Beppe Grillo a fare la perfetta sintesi del suo percorso politico, quello di un ex comico, ex leader di movimento e agitatore di piazza, garante di un partito politico e ora tornato comico. Dopo 10 anni di assenza, Grillo ha fatto ieri sera il suo ritorno in televisione, da Fabio Fazio a Che tempo che fa (nella sua nuova casa, Nove), con la verve di sempre, l’ironia che, mostrando, nasconde e la serietà che, nascondendo, mostra.

C’è la campanella, “se vado fuori tono mi suoni. Ho un abbassamento di voce quindi devo alzarla ma non è rabbia”. C’è la presunta ricerca di una nuova identità, “io sono qui per sapere chi sono e cosa pensate di me e chi siete voi”.  C’è la supposta autocritica, “io sono il peggiore, sì sono il peggiore. Io ho peggiorato questo Paese”. C’è la presunta domanda, a cui una risposta è già l’intervista in studio trasformata in spettacolo: “Sono qui per capire se devo continuare o meno”.

E poi la serietà: “Non posso condurre o portare a buon fine un movimento politico, mi sono ritirato a guardare cosa succede, la mia era una rabbia buona”, dice Grillo, certificando un passo indietro ormai evidente, ma riconoscendo anche di non essere riuscito a trasformare quella rabbia in un progetto concreto.

Un fallimento che parte da lontano, come dice lo stesso Grillo in diretta televisiva: “Ho fondato il Movimento ma mi ero iscritto al Pd, ad Arzachena”. Perché sottolinearlo? Bisogna fare non uno, non due, e neanche tre passi indietro. Bisogna arrivare a quando l’allora comico non era ancora alla guida di un movimento tutto suo (e della sua spalla Gianroberto Casaleggio), ma da una parte intercettava la rabbia dei disillusi della politica che si riversavano ai suoi Vaffa Day e nei Meetic, dall’altra cercava un modo per scuotere un Partito democratico appena nato, ma che riteneva sempre uguale a sé stesso.

Con questo approccio, arriva il primo coup de théâtre del comico Grillo: l’iscrizione al Pd per partecipare poi alle elezioni primarie del futuro segretario. “Ho fatto la domanda sia on line che fisicamente, ho dato i 16 euro di quota. Poi se troveranno che il terzo comma, del quarto paragrafo bis… ne pagheranno le conseguenze”, aveva detto intervistato in quei giorni del 2009. La storia recente racconta che Grillo non partecipò alle primarie del Pd (vinte da Pierluigi Bersani), che un anno dopo nacque il Movimento 5 Stelle, un partito “né di destra né di sinistra” simbolo dell’antipolitica, e poi i successi elettorali, i governi, la presunta democrazia diretta, le scissioni, e poi le delusioni.

Quella più grande? Lo chiarisce in diretta tv: “Giggino la cartelletta, parlo di Di Maio, era il politico più preparato ma non pensavamo si facesse prendere dal potere di organizzare le persone. L’abbiamo scelto io e lui, Conte. Io guardavo i programmi, le idee, se è di destra o sinistra non importa, se un’idea è buona. Ma poi ci ha pugnalato…”.

Insomma, Grillo non è riuscito a cambiare la politica italiana e i suoi partiti, o non come avrebbe voluto, sembra ammettere, nel primo e forse unico discorso da leader politico: quello che sa riconoscere i propri limiti, e torna a fare il comico. Hanno vinto i partiti, allora? Non proprio.



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