Per il docente di Fudan, la Cina sta cercando di capitalizzare nel breve periodo dalla guerra di Gaza, ma per il lungo termine aspira al ritorno della distensione regionale. Sebbene Pechino abbia poca influenza su entrambi i fronti
Il leader cinese, Xi Jinping, ha chiesto un immediato cessate il fuoco e la sospensione delle ostilità nel conflitto di Gaza durante la riunione straordinaria del gruppo Brics del 21 novembre. Le armi si fermeranno solo per una pausa che permetterà uno scambio di prigionieri. Xi ha sottolineato la necessità di un passaggio umanitario sicuro, la fine dei trasferimenti forzati all’interno della Striscia, il ripristino dei servizi essenziali. Ha inoltre aggiunto che la soluzione dei due Stati è l’unico modo per risolvere la crisi e ha avvertito che senza una soluzione equa per i palestinesi, una pace duratura in Asia occidentale è impossibile.
La posizione della Cina fa seguito ai colloqui con i leader arabi e musulmani, che ospiti a Pechino — tappa iniziale di un tour diplomatico che dovrebbe toccare altre capitali mondiali — hanno sollecitato la cessazione delle ostilità che sono state scatenate dal sanguinoso attentato di Hamas il 7 ottobre e che hanno causato già più di 13mila morti dopo la reazione israeliana per combattere il gruppo terroristico. La posizione presa dalla Cina è un mix di opportunismo (per sfruttare una linea che possa essere accattivante nei confronti di una parte di mondo che non sta apprezzando il sostengo occidentale, soprattutto americano, a Israele) e allineamento storico.
“Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, si è molto compiaciuto di aver potuto ospitare per prima la visita dei ministri arabo islamici, cercando una centralità nella crisi”, spiega Andrea Ghiselli, professore alla Scuola di Relazioni Internazionali e Affari Pubblici di Fudan e capo della ricerca del progetto ChinaMed del ToChina Hub. “La Cina usa la sua attività anche per mettere in pratica la Global Security Initiative, che tra le varie cose menzionava la questione palestinese, anche facendo leva del ruolo di guida momentanea del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e cerca di dimostrare che si sta occupando della questione. E lo sta facendo anche sfruttando quelle parti della regione che non vedono molto favorevolmente il ruolo degli Stati Uniti”.
Per Ghiselli, è difficile dire però quanta capacità abbia realmente Pechino, perché “la macchina di politica estera cinese ripete costantemente che la questione debba essere risolta tramite il dialogo, ma nei fatti è l’unica cosa che possa fare la Cina visto che non ha eccessiva influenza né su Israele né su Hamas”. E sull’Iran? “Sappiamo che Joe Biden durante l’incontro di San Francisco ha chiesto a Xi Jinping di esercitare pressioni sull’Iran al fine di evitare escalation regionali: ora va anche in questo caso detto che, sebbene c’è stata già una telefonata tra il leader cinese e il presidente iraniano Ebrahim Raisi, è difficile capire quanto Pechino eserciti influenza anche su Teheran”. A proposito del dibattito irano, su ChinaMed è stato analizzato come parte degli iraniani veda con favore la retorica cinese, sebbene pare che gli stessi siano consapevoli che gli interessi della Cina e dell’Iran non siano convergenti. “Sì, vero, ma questo non significa che la Cina può avere influenza definitiva sulle scelte iraniane, perché poi Teheran si muoverà secondo interessi propri”, aggiunge Ghiselli.
Appunto, gli interessi: quali sono quelli cinesi? “Per Pechino – risponde – è importante che il conflitto finisca, relativamente in fretta: anche se adesso sta cercando di trarre vantaggio, dimostrandosi, con i partner arabi come Riad, dalla parte giusta della storia, dal loro punto di vista, l’analisi cinese concorda che un’occupazione militare della Striscia è irrealizzabile e non porterebbe a soluzione durature e la continuazione del conflitto diventerebbe insostenibili. Va ricordato che la Cina ha sempre visto di buon occhio il trend di distensione che ha negli ultimi anni caratterizzato la regione, come la riapertura delle relazioni tra Iran e Arabia Saudita o il tentativo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele”.
Il docente di Fudan spiega che ora Pechino vede questa situazione come un’interruzione, grave e seria, che però sarà temporanea e quel trend riprenderà, perché vedono le dinamiche innescate come di carattere strategico e a lunga gittata.
“In definitiva, nel breve termine la Cina cerca di trarre vantaggio dal punto di vista diplomatico anche per mettere sotto pressione gli americani in Medio Oriente e più in generale nella politica estera. Ma nel lungo termine hanno interesse nel ritorno del clima di distensione e normalizzazione. In questo, gli arabi hanno aiutato i cinesi a rendersi parte della soluzione, viaggiando nella capitale cinese, invece con Israele le relazioni sono restate in parte più fredde, mantenendo una linea pro-arabo-islamica come un posizionamento vantaggioso nel breve termine. Poi sul lungo termine, anche nei rapporti con Israele, i cinesi attenderanno di vedere cosa succede all’interno del Paese, con il governo Netanyahu che potrebbe essere sostituito”.