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Guai ad accanirsi sul Dragone. Le sanzioni Usa viste da Foreign Affairs

Se la crescita cinese ha perso slancio e i consumi si sono depressi, la responsabilità è solo di Pechino e delle sue politiche. Gli Stati Uniti raccontino al mondo la verità, ma non si accaniscano sulla strada delle sanzioni al Dragone. Non conviene nemmeno a loro

 

L’America dinnanzi alla grande e grave crisi cinese. Nei giorni della tentata distensione tra Stati Uniti e Dragone, l’autorevole testata Foreign Affairs si interroga sul comportamento presente e futuro di Washington dinnanzi ai guai della seconda economia globale. “L’amministrazione Biden insiste sul fatto che, sebbene abbia introdotto restrizioni su alcuni aspetti del commercio Usa-Cina, sta cercando solo di costruire un’alta recinzione attorno a un piccolo cortile e che qualsiasi disaccoppiamento economico sarà limitato alle aree che riguardano la sicurezza nazionale”, è la premessa di un editoriale a firma Daniel Rosen e Logan Wright.

“Piuttosto che assumersi volontariamente la colpa del malessere della Cina, annunciando inutili politiche di disaccoppiamento, Washington dovrebbe minimizzare il proprio ruolo e dimostrare che non è responsabile dell’attuale stagnazione della Cina. E invece di prendere a calci la Cina mentre è in difficoltà, i leader statunitensi dovrebbero ritenere Pechino responsabile delle prevedibili conseguenze delle sue politiche e compiere sforzi in buona fede per fornire alla leadership cinese consulenza economica e opportunità di cooperazione”. Insomma, gli Stati Uniti dovrebbero aiutare Pechino a uscire dal guado.

D’altronde, “la comprensione prevalente della direzione dell’economia cinese e delle ragioni del suo rallentamento è di grande importanza per gli Stati Uniti e i suoi alleati e partner. Washington deve sforzarsi di convincere il mondo che le attuali sfide economiche della Cina sono provocate da lei stessa. Anche i leader cinesi devono capirlo: da questo dipende la prosperità di 1,4 miliardi di persone. Inoltre, le nazioni del Sud del mondo che contemplano l’introduzione di alcuni elementi del modello di sviluppo cinese devono urgentemente rendersi conto del motivo per cui l’economia cinese sta rallentando e quali sarebbero le conseguenze se si seguisse il suo esempio”.

Non è tutto. “Gli Stati Uniti”, scrivono i due economisti, “non devono più affrontare la sfida della crescita da parte della Cina, che ora ha un’economia pari a circa il 62% di quella americana e hanno poco da guadagnare dal bloccare le transazioni economiche e finanziarie con Pechino nella maggior parte delle attività rivolte ai consumatori e nelle aree di investimento di portafoglio, per effetto delle sanzioni. Limitando gratuitamente il commercio con la Cina, Washington non farà altro che creare tensioni con i suoi alleati e partner”.

Conclusione: “la sfida di Washington è duplice. In primo luogo, deve decidere come parlare del rallentamento cinese e chiarire che la colpa è di Pechino. In secondo luogo, Washington deve prepararsi a mitigare le conseguenze negative che la crisi cinese avrà sull’economia statunitense e sui Paesi vulnerabili, soprattutto nel mondo in via di sviluppo. Solo dopo che questi importanti passi saranno stati compiuti, i leader americani dovranno valutare se esista un modo responsabile per trarre profitto dallo stress economico della Cina”.

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