L’ex premier di fatto elenca i capisaldi di una sorta di programma per la commissione che verrà, partendo dallo status dell’Ue, passando per gli strumenti attuativi (i fondi europei per la difesa) e finendo alla mission: un nuovo modello di crescita, tesi che “segue” idealmente quella sul debito buono che aveva illustrato nei primi giorni da premier
Un’Europa che diventi Stato, come forse non è mai accaduto, ma come era scritto nelle intenzioni dei padri fondatori Adenauer, De Gasperi, Spinelli. Che si fondi su un modello di crescita diverso rispetto ad un passato che è stato spazzato via dalle emergenze (crisi energetica, dopo quella del debito), dalle contingenze (due guerre) e della scelte dei Paesi (aderenti e non). E che provi a restare compatta sui valori fondanti, in un momento critico.
Mario Draghi indica alcuni punti strutturali dell’Ue di domani, quasi come fosse un programma già impostato per la prossima commissione europea. L’occasione è la presentazione romana del libro di Aldo Cazzullo “Quando eravamo i padroni del mondo” che si è tenuta nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola.
Nuovo modello
Punto di partenza (ma anche di arrivo) non può che essere l’Ue e non solo perché a parlare è l’ex presidente del Consiglio, che molte voci danno in pole position in un ruolo attivo nella prossima governance del post Von der Leyen, ma perché se l’Unione non porterà a termine una sua riforma tout court perderà la guerra e non solo una battaglia. Da questo ragionamento scaturisce la postura di Draghi quando indica la strada da imboccare: occorre un nuovo modello di crescita, spiega, tesi che “segue” idealmente quella sul debito buono che aveva illustrato nei primi giorni da premier. “Noi – ha osservato – abbiamo fatto un errore colossale negli anni Novanta, non modificando le regole europee dopo l’allargamento dell’Unione, chiaramente le cose non funzionano”.
Da unione a Stato?
Come potrebbero funzionare meglio le cose Draghi lo dice esplicitamente chiamando in causa uno status ed un percorso di avvicinamento. La premessa è che per l’Europa è il momento di diventare Stato, ma ciò non significa automaticamente immaginare gli Stati uniti d’Europa come obiettivo immediato. “È possibile che chi ha vent’anni oggi arriverà a vedere questo traguardo, ma non bisogna immaginare cose che sono troppo difficili. Per esempio, l’unione fiscale è sempre importante, ma meno di quanto non lo fosse anni fa perché attraverso la moneta unica le catene di produzione sono molto integrate. E la Bce ha ormai ruolo di stabilizzatore dei mercati”.
Questa la traccia per aprire al secondo grande messaggio lanciato da Draghi: quello relativo agli strumenti attuativi. Come riuscire a finanziare le sfide sovranazionali se non con la costruzione di fondi europei che finanzino la difesa, la lotta al cambiamento climatico? Non un processo semplice, come dimostrano le differenti posizioni sulla guerra a Gaza, ma resta il dato di un’Europa chiamata a fare più di quello che sta facendo.
Crisi e guerre
Il primo banco di prova è quello dei conflitti. Su quello a Gaza Draghi sottolinea che ci dovrà essere un coinvolgimento, (“che non credo possa essere militare”), nella consapevolezza che la cosa più importante che tutto il mondo sente “è che lì va riportata la pace e l’Europa dovrà essere presente”. Ma senza dimenticare l’Ucraina, “invasa per difendere antichi valori imperialistici”. Kiev ha difeso valori “che sono anche i nostri, ma parlano il russo e per questo gli è stata fatta guerra, la storia stessa è storia di guerra, raramente è narrata la pace”. Questa la ragione per cui siamo “in un momento particolare”, “c’è paralisi decisionale, una situazione d’attesa legata alle guerre, un allargamento ai Balcani da compiere”. Tutte sfide da affrontare con una Ue completamente nuova.