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De-escalation priorità a Gaza, stabilità obiettivo del G7. Parla Speranzon (FdI)

Il senatore di FdI delinea l’approccio del governo alla crisi in medio Oriente, e ai possibili rischi di escalation nell’area. Senza però dimenticare l’Ucraina. E per il G7 italiano suggerisce di guardare al Piano Mattei

In una situazione difficile come quella del contesto israelo-palestinese, l’azione del governo Meloni è stata ferma e diretta all’obiettivo. Così sostiene Raffaele Speranzon, senatore di Fratelli d’Italia e membro della commissione Esteri/Difesa, che in questa conversazione con Formiche.net spiega quale è stato il filo conduttore dell’esecutivo, ovvero: “Favorire la de-escalation, lavorare a pause umanitarie più lunghe, insistere sul rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas e tutelare la popolazione civile di Gaza, in particolare quella sfollata”.

Quale la direzione seguita dall’esecutivo nel gestire la crisi in Medio Oriente?

Innanzitutto il governo ha condannato con fermezza e senza alcuna ambiguità gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre. Hamas rappresenta oggi il principale ostacolo alla pace fra Israele e Palestina ed è nemico tanto del popolo israeliano quanto di quello palestinese. Come ha detto il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni l’obbiettivo di Hamas non è affermare il diritto del popolo palestinese ad avere un proprio Stato. Quel popolo, semmai, è ostaggio dei gruppi fondamentalisti come Hamas e dei loro atti criminali. L’obiettivo dei terroristi era scatenare un conflitto su larga scala, costringendo Israele ad una reazione così forte nella Striscia di Gaza che distruggesse ogni tentativo di mediazione, che creasse un solco incolmabile tra Israele, Occidente e paesi arabi, alcuni dei quali coraggiosamente avevano tentato invece di normalizzare i rapporti con lo Stato ebraico attraverso gli accordi di Abramo. Israele ha il sacrosanto diritto di difendersi da questa organizzazione terroristica e di tutelare, come farebbe qualunque paese al mondo, la sicurezza dei propri cittadini, in particolare quelli che vivono nelle zone vicine al confine con la Striscia di Gaza, ma l’inevitabile e comprensibile reazione israeliana sta determinando una massiccia distruzione anche di infrastrutture civili a Gaza e soprattutto migliaia di vittime innocenti, e questo rischia di alimentare in modo significativo i sentimenti di odio nei confronti di Israele non solo tra i palestinesi ma anche nell’opinione pubblica.

La situazione umanitaria continua infatti a peggiorare ogni giorno di più.

C’è consapevolezza che la situazione umanitaria e sanitaria della Striscia sia molto precaria e proprio per questo il governo ha deciso di inviare nell’area la nave-ospedale Vulcano della Marina militare e di mandare aiuti umanitari al valico di Rafah. La linea del governo, definita in più occasioni dal presidente del Consiglio e ribadita anche martedì dal ministro Tajani in audizione di fronte alle Commissioni Esteri di Camera e Senato riunite, è molto chiara: favorire la de-escalation, lavorare a pause umanitarie più lunghe, insistere sul rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas e tutelare la popolazione civile di Gaza, in particolare quella sfollata.

Quale soluzioni vede al conflitto israelo-palestinese nel medio, breve e/o lungo periodo?

Si tratta di un conflitto che ha radici profonde e che dura ormai da 75 anni, perciò non esistono soluzioni immediate e facili. Nel breve periodo le priorità sono: de-escalation, protezione dei civili e rilascio degli ostaggi. Nel medio periodo è necessario neutralizzare le capacità militari di Hamas, per impedire che possa riorganizzarsi e sferrare nuovi attacchi contro la popolazione israeliana. Non ci deve essere un altro 7 ottobre e il lancio indiscriminato di razzi contro le città israeliane deve finire. Allo stesso tempo, bisogna creare le condizioni affinché il consenso nei confronti di Hamas e altri gruppi radicali a Gaza si affievolisca evitando siano i fondamentalisti islamici a rappresentare la popolazione della Striscia, ma una nuova leadership aperta al dialogo con Israele. Ricordiamo che le prime vittime di Hamas sono proprio i palestinesi di Gaza, governati con metodi autoritari e illiberali, usati come scudi umani e sacrificati come carne da macello sull’altare del jihad.Un esempio al riguardo? Hamas ha speso enormi quantità di denaro per costruire centinaia di chilometri di tunnel per far passare le armi ma non uno, dico uno, rifugio antiaereo per la difendere la popolazione civile esposta ai bombardamenti israeliani in reazione agli atti terroristici. Sarà poi fondamentale, sostenere la ricostruzione di Gaza, distrutta dai bombardamenti, ed evitare un esodo di massa che rischierebbe di esacerbare ulteriormente le tensioni con i paesi arabi vicini, a partire dall’Egitto, e di creare centinaia di migliaia di profughi.

E nel lungo periodo?

Nel lungo periodo, per quanto possa risultare difficile da immaginare oggi, la soluzione migliore, nonché l’unica che non infliggerebbe un torto storico ad una delle due parti in causa, resta quella dei due Stati per due popoli. Ci si potrà arrivare solamente con il dialogo e l’isolamento degli estremisti, da ambo le parti.

Quanto è concreto il rischio di escalation nell’area? Come può essere prevenuto?

Il rischio di escalation è assolutamente concreto. Anzi, mi verrebbe da dire che l’escalation è già iniziata dato che si sono verificati scontri a fuoco al confine fra Israele e Libano, gli Houthi dallo Yemen hanno lanciato missili diretti contro il sud di Israele e si sono intensificati gli attacchi contro basi americane in Iraq e Siria da parte di milizie sciite filoiraniane. Senza dimenticare i numerosi attacchi contro ebrei ed israeliani all’estero, come le terribili immagini che abbiamo visto dal Daghestan, e l’aumento delle violenze in Cisgiordania, sia da parte palestinese che israeliana. Per ora i paesi arabi e gli altri attori principali della regione, come Iran e Turchia, hanno deciso di non intervenire direttamente. Il nostro obiettivo è impedire che una reazione legittima contro un attacco terroristico si trasformi in una guerra regionale che destabilizzerebbe l’intero Medio Oriente e eliminerebbe qualsiasi possibilità di dialogo fra Israele e il mondo arabo. Questo conflitto avrebbe costi umani, economici e politici elevatissimi, non solo per il Medio Oriente, ma anche per l’Italia e l’Europa. Prevenire questa guerra non sarà facile, ma l’unico modo per farlo è intensificare gli sforzi diplomatici per il rilascio degli ostaggi, ridurre progressivamente la pressione israeliana su Gaza e rafforzare le misure di deterrenza contro Iran, Siria ed Hezbollah.

A dicembre l’Italia assumerà la guida del G7. Quale impronta dovrebbe dare alla sua presidenza?

Sarà una presidenza difficile, in un momento estremamente complicato per gli equilibri internazionali. Le sfide che dobbiamo affrontare sono tante: il conflitto israelo-palestinese e le ripercussioni per la stabilità del Medio Oriente, la guerra tra Russia e Ucraina, le tensioni sempre più preoccupanti nei vicini Balcani, le grandi ondate migratorie dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina verso i Paesi del G7, l’ascesa dei Brics, la sicurezza energetica, i rischi e le opportunità dell’intelligenza artificiale e potrei continuare. Sicuramente l’Italia porrà l’accento sul tema delle migrazioni, che per noi è cruciale, e sul rapporto tra Europa, paesi del Mediterraneo allargato e dell’Africa subsahariana. Come abbiamo sempre detto dall’inizio della legislatura, l’obiettivo strategico più ambizioso di questo governo è il Piano Mattei, ovvero un nuovo rapporto di cooperazione non predatorio, non paternalistico e reciprocamente vantaggioso con i paesi del continente africano. Sono certo che gli alleati del G7 condivideranno il nostro approccio e ci supporteranno in questo.

Accanto alla crisi in Medio Oriente, continua quella in Ucraina. Quali sono gli sforzi in questo senso?

Dopo i tragici eventi del 7 ottobre i media e l’opinione pubblica sembrano essersi dimenticati dell’Ucraina, come se quel conflitto non fosse più degno di attenzione. È una guerra in Europa, a meno di tre ore di volo dalla mia Venezia. L’Europa, e l’Italia in particolare, continueranno a sostenere l’Ucraina contro la guerra di aggressione russa, con aiuti militari e umanitari. Noi restiamo sempre della stessa idea: una vittoria da parte della Russia potrebbe avere un effetto domino, spingendo il regime di Putin ad invadere altre zone precedentemente sotto l’influenza sovietica, e magari suggerendo ad altri stati di risolvere le controversie con i paesi vicini con la forza e con l’occupazione militare di territori al di fuori dei propri confini riconosciuti dalla comunità internazionale. Inoltre una spaccatura del fronte occidentale sull’Ucraina verrebbe vista come un segnale di debolezza da parte di Russia, Cina e Iran e altre potenze revisioniste. Ecco perché da parte del governo italiano continueranno gli sforzi per la pace, in primis attraverso la diplomazia, ma per ottener una pace giusta, che non legittimi l’aggressore e che tuteli l’aggredito.



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