L’Europa deve tornare a competere, senza un solo minuto da perdere. Perché il rischio, di quelli nemmeno tanto remoti, è di rimanere tagliata fuori dalla grande rincorsa globale all’innovazione e alla crescita. Stati Uniti e Cina, non è certo una scoperta di oggi, da anni lavorano ai fianchi il Vecchio continente, ingaggiando essi stessi una gara a cui adesso si è aggiunta anche l’India. Pechino ha appena inaugurato una sorta di new deal della finanza, nel tentativo di spurgare l’economia dal veleno del debito. Gli Usa stanno dalla loro cogliendo i primi frutti dell’Inflation reduction act, il piano di sussidi statali per attrarre imprese e idee da tutto il mondo.
Per questo, nelle settimane scorse, Ursula von der Leyen ha deciso di rivolgersi a chi di competitività, e non solo, capisce. Mario Draghi è stato incaricato di approntare una strategia che consenta all’Europa del Pnrr e del Green new deal di stare al passo delle grandi economie mondiali, partendo dal fatto che si tratta del mercato libero più grande del mondo, con mezzo miliardo di cittadini. Il piano a cui l’ex premier italiano e già presidente della Bce sta lavorando, sta prendendo corpo e forma, anche se per il momento si tratta solo di idee abbozzate qui e là. Il lavoro è molto, anche perché, come ricorda il Financial Times in un approfondimento dedicato alla missione di Draghi, l’economia dell’Ue, in termini di dollari, è pari al 65% delle dimensioni dell’economia statunitense, in calo rispetto al 91% del 2013.
“La pandemia”, scrive il quotidiano della City, “che si è riversata nella guerra della Russia contro l’Ucraina, ha fatto lievitare i prezzi e i costi dell’energia. Le pressioni demografiche e le strozzature dell’offerta hanno creato una carenza di manodopera qualificata. E c’è un fardello della burocrazia che, secondo i proprietari di piccole e medie imprese e i diplomatici dell’Ue, schiaccia il potenziale di crescita”. Per tutti questi motivi “è necessario che a Bruxelles si parli seriamente di mercato unico, perché non si può parlare di gioielli della corona dell’Unione senza trattarli come tale”, afferma Markus Beyrer, direttore generale di BusinessEurope, che rappresenta le lobby imprenditoriali di tutta l’Europa.
Serve, in buona sostanza, “una risposta a programmi concorrenti come l’Inflation reduction act da 369 miliardi di dollari di Joe Biden e al sostegno statale offerto da tempo da Pechino ai rivali cinesi”. Ma attenzione, Draghi non è solo. Perché proprio mentre il padre del whatever it takes analizza e struttura una proposta per riportare l’Europa nella giusta carreggiata, “un altro ex primo ministro italiano, Enrico Letta, sta preparando un rapporto separato sullo stato del mercato interno, che sarà presentato a marzo”, scrive ancora il FT. Letta, presidente dell’Istituto Jacques Delors, ha intrapreso in questi mesi un tour delle capitali europee per “uscire dalla bolla di Bruxelles per ascoltare le preoccupazioni del territorio”.
D’altronde, la missione di Letta e Draghi ha un unico punto di caduta. “Il dilemma dell’Europa è quello di preservare la forza del mercato unico e le libertà di movimento, di capitale, di merci e di servizi, pur competendo con l’America, la Cina, l’India e altri”, chiarisce il quotidiano. A questo punto, non resta che attendere i due lavori, che dovranno necessariamente tenere conto delle variabili inflazione, conflitto in Ucraina e Medio Oriente e postura della Banca centrale europea in materia di gestione della politica monetaria. “Letta presenterà il suo rapporto a marzo, durante la presidenza belga del Consiglio dell’Ue che inizierà a gennaio. Nel commissionare le relazioni di Draghi e Letta, l’Ue ha dimostrato la volontà di riconoscere i problemi di competitività. Ma per rimediare alla situazione e per recuperare il ritardo rispetto a rivali sempre più competitivi sarà necessaria una volontà politica molto più forte”.