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Il 4 novembre è un atto di stima per le nostre Forze Armate. Scrive il gen. Arpino

Ancora oggi, le Forze Armate vivono in un fragile equilibrio tra l’apprezzamento e l’aspra critica da parte dell’opinione pubblica. Nonostante il tono minore di quest’anno, festeggiare le Forze Armate è un atto d’amore verso il Paese e testimonia la stima verso il loro operato a livello nazionale e internazionale

L’aver perso disastrosamente la guerra e visto l’Italia spaccata tra Nord e Sud, l’aver avuto in Parlamento e nel Paese il più forte partito comunista d’Europa, del quale alcuni rappresentanti di spicco (avevamo da poco aderito alla Nato) continuavano a fare la spola con Mosca, sono elementi che a suo tempo avevano disorientato i cittadini e messo in dubbio la nostra credibilità, all’interno e all’esterno.

L’aver persino ridicolizzato e tentato di distruggere, con abili manovre culturali, persino concetti “risorgimentali” fondanti come quelli di Patria, dovere, onore e famiglia, avevano prodotto sin dal primo dopoguerra una strisciante, ma pervasiva, disaffezione per le Forze Armate. Tuttavia, questa sembrava essere in buona parte svanita, se si considera il successo popolare dell’iniziativa del ripristino della sfilata militare nell’ambito del 2 giugno, voluta dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. Era un uomo che durante la guerra aveva indossato le stellette, e non se lo era mai dimenticato. La festa del 4 novembre, che ha anch’essa subito alterne vicende, rientra in questo contesto.

È da allora che, con fatica, abbiamo cominciato a risalire la china. Anche grazie al coraggio del presidente Ciampi – lo posso dire a ragion veduta – da allora ad oggi l’atmosfera sembrava essere cambiata. E, pur senza rinnegare una briciola dei valori che li contraddistinguono, sono cambiati anche i militari. Una maggiore apertura verso il pubblico, la realtà positiva e il comune apprezzamento del loro operato nelle missioni internazionali, la sospensione della leva, l’arruolamento femminile ed un maggior senso di responsabilità collettiva sono tutti elementi che stanno riequilibrando una situazione non simpatica, che gli uomini in uniforme avvertivano e sopportavano con pazienza.

Resta comunque un equilibrio fragile, spesso aggredito da ideologie antiquate, ma persistenti. Il mondo politico in tutto questo non aiuta molto: si va dai sorrisi e gli applausi del due giugno alla richiesta di “provvedimenti esemplari” nei confronti del carabiniere che, aggredito, spara un colpo di pistola. Non si è capito, ad esempio, che una buffa tenuta con blue jeans, camicia bianca, colletto aperto e caritatevole copertura del tutto con una giacca di mimetica presa a prestito (forse nell’intento di dimostrarsi “democratici” ed alla mano verso gli impeccabili, ma perplessi militari schierati sull’attenti) è irrispettosa verso tutto il reparto, e che i soldati, dopo la rottura dei ranghi, ne rideranno a crepapelle. Così come lascia perplessi il fatto che per molto tempo, si sia voluto contrabbandare per “duale” ogni esigenza d’acquisto ed ogni oggetto da mettere in mano a un soldato. Ora, con le guerre che ci toccano da vicino, tutto ciò sembra esaurito, ma il pubblico, stupito e confuso, non capisce. O riceve un messaggio sbagliato.

Il “politicamente corretto”, così attraente ed accattivante nelle aule parlamentari e nei vertici internazionali, sul terreno, in cielo ed in mare non lo è affatto, e non funziona. Non mi dilungo sugli esempi, che sono molti e ricorrenti, dalla guerra del Golfo alla Libia, dal Kosovo all’Afghanistan. Eppure facciamo le cose bene, ma riusciamo a dare sempre l’impressione di quelli che lanciano il sasso e nascondono la mano. Anche questo lascia perplessi i nostri cittadini, e, più ancora, i nostri soldati. E non parlo solo dei famigerati caveat nazionali. Cose di questo tipo sono disdicevoli, perché, l’inevitabile percezione internazionale di questo nostro tormento erode credibilità, affidabilità e pone ingiuste ombre sul generale consenso che invece si conquistano sul campo i soldati. Il cittadino attento se ne accorge, e i suoi dubbi aumentano.

È con questi pensieri che oggi ci apprestiamo a celebrare il “nostro” 4 novembre. È per volere delle nostre Autorità (certo non intendiamo discutere, sappiamo che conoscono il contesto nazionale ed internazionale molto meglio di noi), che questa “nostra” celebrazione, almeno esteriormente, quest’anno trascorrerà in tono minore, senza enfasi e senza festeggiamenti, cercando quasi di passare sottotraccia. Certo, le massime Autorità saranno pur sempre all’Altare della Patria, le Frecce Tricolori passeranno con puntualità cronometrica e in una blindatissima Cagliari parlerà il ministro della Difesa alla Presenza del Capo dello Stato, a conclusione della Cerimonia ufficiale.

E noi, buoni cittadini? Non sentiamoci esclusi da un tono minore che certamente avrà le sue contingenti giustificazioni politiche. Senza dare fastidio a nessuno, senza attrarre odio, senza polemizzare, celebriamo comunque in perfetto silenzio questo “nostro” 4 novembre. A modo nostro. Dentro di noi. Nel profondo del cuore.

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