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Nucleare, arriva un piano Usa per commercializzare la fusione

L’inviato speciale per il clima Kerry annuncerà il progetto durante una visita a Commonwealth Fusion Systems, la controllata di Eni all’avanguardia nel settore della fusione nucleare. Il piano, che verrà presentato alla Cop28, prevede la commerciabilità entro pochi anni e si baserà sulle collaborazioni internazionali. E tutto fa pensare che Washington voglia puntare alle realtà piccole e agili

Sorpresa: gli Stati Uniti sarebbero intenzionati a presentare la prima strategia internazionale per commercializzare l’energia da fusione nucleare alla prossima Conferenza Onu, scrive Reuters. È atteso a momenti l’annuncio di John Kerry, l’inviato speciale della Casa Bianca per il clima, che è a Boston in compagnia dell’ad di Eni Claudio Descalzi. Nulla di bizzarro, anzi: i due sono in visita alla Commonwealth Fusion System, spin-out del Massachusetts Institute of Technology e controllata dal Cane a sei zampe, che attualmente è tra le favorite nella corsa per dimostrare la fattibilità della fusione entro il decennio.

Dai pochi dettagli emersi emergono i contorni di un piano ambizioso, il primo del suo genere, che prevede la commercializzazione nel giro di anni e non decenni. “Alla Cop28 avrò molto altro da dire sulla visione degli Usa per i partenariati internazionali per un futuro inclusivo dell’energia di fusione”, ha dichiarato Kerry in un comunicato, spiegando che decenni di investimenti federali stanno trasformando la fusione da esperimento a “soluzione emergente per il clima”.

Secondo Reuters, che cita un addetto ai lavori, la strategia statunitense si concretizzerà in un quadro che definisce i piani per la diffusione globale della tecnologia, disegnata in modo da ottenere il sostegno di partner internazionali. Un passo storico, che fa seguito al primato dello scorso dicembre – quando alla National Ignition Facility in California gli scienziati hanno raggiunto il guadagno netto di energia da una reazione di fusione – e a un aumento dell’attenzione verso questa tecnologia, sia da investitori privati, sia dal governo Usa, che a inizio anno ha separato gli ambiti della fissione e della fusione (anche per incoraggiare gli investimenti).

Tutto fa pensare che per tramite di Eni, che sta lavorando su quattro progetti pilota per la fusione (quello con Cfs è uno di questi), l’Italia possa tornare a essere un attore di rilievo alla frontiera dello sviluppo dell’energia nucleare. È passato quasi un secolo da quando il padre della fissione Enrico Fermi pose le basi per la generazione di energia dagli elementi radioattivi, prima in via Panisperna a Roma, poi nel seminterrato dell’Università di Chicago.

Le potenzialità teoriche della fusione nucleare sono ciò che portano gli scienziati a definirla il “sacro Graal” dell’energia. La tecnologia promette di ottenere quantità immense di energia sicura, pulita, senza rifiuti e a basso costo, innescando il processo che tiene acceso il Sole. L’accesso alla fusione ha dei vantaggi talmente innegabili che il progetto Iter, il maxi-consorzio internazionale per costruire un reattore da fusione dimostrativo, è un’impresa di collaborazione scientifica seconda solo alla Stazione spaziale internazionale in termini di investimenti.

Ci sono anche gli Usa (e anche Cina, Corea del Sud, Giappone, Russia e Ue) tra i Paesi che lavorano sulla costruzione di Iter, che sta scontando forti ritardi tra complessità tecnologiche e shock esterni. Nel frattempo, però, 43 realtà private e più agili hanno attratto 6,2 miliardi di dollari in finanziamenti puntando su reattori più piccoli, innovativi e di più facile costruzione e promettendo di allacciare alla rete elettrica il primo reattore a fusione in tempi molto più rapidi. In testa c’è Cfs, che vuole dimostrare il suo reattore Sparc nel 2025. Che Washington creda che sia arrivato il “momento SpaceX” della fusione?

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