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Africa, Ucraina, Indo Pacifico. Il G7 a trazione italiana secondo Parsi

“L’Africa? L’Italia può essere l’alfiere di un piano che possiamo chiamare anche Mattei ma che deve essere una strategia dell’Ue, se vuole avere un significato rispetto a un continente gigantesco. Pechino? Se tenterà di forzare le regole, il risultato sarà che nei nostri portafogli ci sarà meno Cina”. Conversazione con Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Mediterraneo, Indo Pacifico, Ucraina, Ue: l’Italia ha tutte le carte in regola per giocare un ruolo in questi contesti, a patto che riesca a portare il proprio contributo in un mondo che richiede sempre più sacrificio, impegno, assunzione di responsabilità, senso del dovere. Questa la riflessione che affida a Formiche.net il prof. Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, di cui è appena stato pubblicato il volume “Madre Patria. Un’idea per una nazione di orfani”, edito da Bompiani.

Quanto farà bene alla ricerca della patria il G7 a trazione italiana?

Se verrà utilizzato non in maniera strumentale per sollevare un’dea di patria partigiana, come spesso capita purtroppo, piuttosto che per contrapporre la parte nazionale alla patria europea allora sarà un’occasione utile.

Da questo punto di vista quale il contributo che potrà dare l’Italia?

Noi italiani abbiamo da lavorare su due fronti: uno domestico dove costruire un’idea condivisa di patria, che vuol dire sostanzialmente la comunità nazionale e le sue istituzioni, concetto di cui la Costituzione è il sommo garante; e uno esterno, dove dovremo capire quale ruolo intendiamo giocare insieme ai nostri alleati europei e occidentali in un mondo che richiede sempre più sacrificio, impegno, assunzione di responsabilità, senso del dovere. Se io penso a questi valori allora queste energie sono molto più facilmente mobilitabili se si ha un’idea solida e forte della madre patria. Che sia una madre patria aperta, democratica, inclusiva e collaborativa con gli altri: in caso contrario tutto diventa più difficile, sia la cooperazione che il conflitto.

Guardando alle strategie esterne del governo, l’interlocuzione con l’Indo Pacifico è un buon viatico sulla strada del G7 che l’Italia ospiterà il prossimo anno?

Si tratta di un’area di interesse per noi, dove la Marina militare da molto tempo opera in quel concetto di Mediterraneo allargato che comprende proprio la propaggine occidentale dell’Oceano Indiano. Sappiamo che la Cina è il grande giocatore di questi anni e degli anni futuri, è un giocatore che troppe volte purtroppo si mette in una posizione di antagonismo che speriamo non diventi di ostilità. Essere presenti solidalmente come Occidente nelle aree più calde significa anche illustrare con con chiarezza che qualunque mossa cinese azzardata troverebbe una fermezza occidentale e quindi convincere la Cina a tornare sul sentiero consueto del passato pre Xi.

Ovvero?

Fino alla prima presidenza Xi vi era una collaborazione tra tutti i Paesi che tirano l’economia globale, una collaborazione che oggi può essere anche rivista in termini di quote rispetto ai cinesi, ma non può essere rivista rispetto alle regole. La Cina deve avere chiaro in mente il concetto che con le regole contemporanee ci può essere più Cina nel nostro mondo. Ma se la Cina invece tenterà di forzare le regole, il risultato sarà che nei nostri portafogli ci sarà meno Cina.

Un altro tema al centro del G7 sarà certamente l’Africa. La novità di quest’anno è stata l’ingresso dell’Unione Africana come membro permanente del G20. Questo elemento si può legare politicamente alla penetrazione italiana con il Piano Mattei?

Proprio l’ingresso dell’Unione africana ci ricorda che la dimensione collettiva è fondamentale, sia in termini di Paesi che devono ricevere, sia in termini di Paesi che devono investire: quindi l’Italia può essere l’alfiere di un piano che possiamo chiamare anche “Mattei”, ma che deve essere un piano dell’Unione europea, se vuole avere un significato rispetto a un continente gigantesco e molte volte più grande dell’Europa in termini di superficie e popolazione. In prospettiva sarà popolato da 1 miliardo e mezzo nell’arco di una quindicina d’anni. Quindi tutto questo si potrà realizzare solo se in presenza di un coordinamento tra Paesi africani ed europei.

Di qui al G7 italiano è ipotizzabile un tavolo diplomatico di pacificazione in Ucraina? O la guerra durerà ancora a lungo?

La guerra durerà fino a quando i russi non cambieranno politica: certamente tutti possiamo discutere su quali potrebbero essere le misure che portino ad un armistizio e un domani a una pace. Ma queste misure non sono in questo momento possibili, perché i vincoli che la Russia pone sulla via della pace sono insormontabili. Tra la pace dei vinti, per così dire, e una pace giusta c’è un abisso in mezzo. Per cui è chiaro che la Russia deve dismettere le sue pretese, non è una cosa facile ma esattamente come con la Cina il passaggio è mostrare fermezza, continuare a sostenere gli ucraini che stanno dimostrando un valore incredibile per spingere la Russia a cercare altre soluzioni. In questo momento la Russia sta semplicemente aumentando la pressione militare a dismisura. Grosso modo, un terzo del bilancio pubblico russo va in spese per la difesa. Quanto a lungo pensano di poter sostenere questo sforzo i russi? Questo dovremmo chiedercelo ogni tanto. Così come giustamente ci chiediamo quanto l’Ucraina possa andare avanti a reggere. Ma noi sappiamo che l’Ucraina, se aiutata, può continuare a reggere perché si batte per la sua libertà. La Russia invece quanto può andare avanti da sola?

Domani a Parigi ci sarà la Conferenza internazionale sulle questioni umanitarie. Sarà un’occasione per accelerare sui corridoi?

All’interno dell’Unione europea le posizioni sono abbastanza convergenti sulla necessità di pause umanitarie in vista di una tregua. Sappiamo che Israele sta facendo orecchie da mercante, a mio avviso sbaglia perché si aliena il sostegno politico delle opinioni pubbliche e ormai anche dei governi delle democrazie che non possono assistere a quello che sta succedendo senza senza battere ciglio. Israele deve comportarsi da democrazia. È ovvio che lo shock del 7 ottobre è stato gigantesco, ma la cosa che lascia più perplessi è che Netanyahu sta facendo esattamente quello che Biden gli aveva chiesto di non fare mai.

Ovvero?

Aveva chiesto di non commettere gli stessi errori che gli Stati Uniti hanno commesso (e noi con loro) in Afghanistan e in Iraq dopo l’undici settembre. Netanyahu si dimentica di una piccola differenza fondamentale: che noi alla fine di questi errori ce ne siamo andati dall’Afghanistan e dall’Iraq. Ma Israele non potrà andarsene dal Medio Oriente e i fatti del 7 ottobre dimostrano che l’illusione di poter basare la propria sicurezza esclusivamente sulla forza militare è un’illusione pericolosissima per sé, per gli altri.

I ministri del G7 hanno scritto nella dichiarazione finale che restano profondamente preoccupati per le interferenze straniere, ovvero la manipolazione delle informazioni e le fake news. Il tutto per indebolire le democrazie. L’episodio telefonico che ha interessato il nostro governo rientra in questa casistica proprio a causa della postura euro-atlantica di Chigi?

L’Italia sconta una debolezza culturale, innanzitutto noi abbiamo indicatori sul tasso di laureati e diplomati dei nostri giovani che sono di dieci punti più bassi della media europea: un gigantesco problema. Per cui quando le fake news da noi attecchiscono lo fanno grazie ad una società profondamente incolta e permeabile, così come attecchiscono i partiti populisti e le teorie del complotto. Il complotto è la spiegazione degli ignoranti. L’Ue ha certificato qualche settimana fa che il numero siti di fake news chiusi in Italia sono il doppio di quelli in Germania. Su questo bisogna lavorare e la vigilanza deve essere massima.

Perché siamo una nazione di orfani, come recita il titolo del suo libro?

Siamo una nazione di orfani della madre patria: non ci sono solo gli esuli, i migranti o i palestinesi ma anche tutti quelli che hanno un difficile rapporto con la loro madre patria, che fanno fatica a riscoprire questo concetto. Perché la patria in Italia è sempre avvolta da un bozzolo di malinconia per le vicende storiche del lontano passato, che però ormai devono essere elaborate e superate. Dobbiamo andare oltre la nostalgia e la malinconia, dobbiamo elaborare questo lutto, perché in questo mondo tutti si muovono dotati di una patria.



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