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Guerre, energia e alleanze. Come cambia il Mediterraneo orientale

Dal paper dell’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici (Iiss) tarato sugli ultimi due anni emerge un panorama fatto di potenziali conflitti tra Stati nella regione, accompagnati dalle ambizioni, dalle ansie e dalle capacità dei diversi attori locali. Sullo sfondo le nuove dinamiche legate al gas e ai gasdotti, a cavallo tra Europa e Medio Oriente

Il 7 ottobre 2023 non ha segnato solo la data dell’attacco terroristico contro Israele da parte di Hamas, ma anche un possibile nuovo inizio per “dinamiche connesse” alla questione israeliano-palestinese, prima fra tutte quella legata all’energia e al potenziale svilupparsi di conflitti secondari. Un nuovo grave conflitto interstatale è realistico oggi, dopo che era stato stemperato e ritenuto improbabile nell’ultimo lustro: i conflitti interni di minore intensità possono scoppiare in modo intermittente. Lo scrive l’ultimo rapporto redatto dall’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici (IISS) tarato sugli ultimi due anni.

Mediterraneo orientale

Il dossier strategico “Turbulence in the Eastern Mediterranean: Geopolitical, Security and Energy Dynamics” fornisce un’indagine unica e tempestiva della regione che descrive le sue dinamiche di potere e geoeconomiche alla luce di una serie di dati su difesa, sicurezza, conflitti, infrastrutture, economia ed energia. Numeri che permettono di cerchiare in rosso i rischi e le prospettive rilevanti sia per il contesto decisionale che per quello aziendale. Quello che emerge è un panorama fatto di potenziali conflitti tra Stati nella regione, accompagnati dalle ambizioni, dalle ansie e dalle capacità dei diversi attori locali. Sullo sfondo le nuove dinamiche legate al gas e ai gasdotti, a cavallo tra Europa e Medio Oriente.

L’intera area del Mediterraneo orientale è stata attraversata contemporaneamente da una serie di fattori che ne hanno determinano alleanze, partnership e policies: guerre civili, conflitti interstatali, competizione geopolitica (Primavera Araba), terrorismo, migrazione, invasione dell’Ucraina da parte della Russia, Belt and Road Initiative, ruolo di potenze medie globali revisioniste come Turkiye e Iran; proiezioni nel mare nostrum dei paesi del Golfo.

Nuove connessioni/tensioni

In base a queste dinamiche anche le relazioni tra Paesi hanno subito una trasformazione, basata essenzialmente sul dossier enegetico sin dagli accordi di Minsk e dalla primordiale idea di costruzione del gasdotto Tap, cambiamento reso ancora più mutevole dopo “gli ultimi” fatti in Ucraina e ora a Gaza. Secondo il paper la ricerca di partner regionali per la sicurezza e il desiderio di posizionarsi come hub di esportazione di energia verso l’Europa (sia per il gas che, a lungo termine, per l’energia verde) ha motivato tutti gli attori chiave, ovvero Egitto, Grecia, Israele e Turchia.

Il fronte più rischioso alla voce nuovi conflitti viene individuato nell’Iran, “la cui portata in Libano, Siria e Gaza rappresenta ora una minaccia immediata e potente per Israele”. È chiaro che una possibile intensificazione del conflitto nei territori palestinesi potrebbe influenzare altre dinamiche regionali, come un effetto a cascata in Libano e Siria. Meno probabile a Cipro, dove la contrapposizione con la Turchia sta vivendo un momento di congelamento delle frizioni tra Atene e Ankara, come riportato recentemente su queste colonne.

Le mosse dei big

Sullo sfondo ci sono le decisioni assunte da Paesi vicini e meno vicini, ma determinanti nell’evoluzione di scenari futuri. Primo dei quali il blocco atlantista con Stati Uniti, Germania, Francia e Regno Unito che rimangono “indispensabili per un vitale sostegno economico, finanziario, militare e diplomatico”, inoltre sono in procinto di ottenere dei vantaggi dalle recenti scoperte di gas a Cipro, Egitto, Grecia, Israele e Turchia. Un passaggio che è legato a doppia mandata alle future infrastrutture del gas, ovvero quella rete di gasdotti che dal Tap in poi è diventata oggetto sì si interrelazioni, ma anche di scontro fra paesi (più o meno) concorrenti.

Recep Tayyip Erdogan sul punto prosegue nel tessere la sua tela energetica dettata dalle necessità economiche, ma l’orientamento strategico del Paese è ora in contrasto con molti dei suoi presunti alleati.

Non mancano riflessioni sulle sue “difficili relazioni con i più importanti alleati dell’alleanza atlantica (il Parlamento turco ha rinviato le discussioni sulla candidatura della Svezia alla Nato), così come con altri paesi del Mediterraneo orientale, gli impediscono di svolgere un ruolo di leadership nella regione”. Le instabili relazioni con gli Stati Uniti e l’altalenante concorrenza con la Russia completano il quadro sul Bosforo.

Scenari

L’attivismo turco non cessa, come dimostra l’accordo siglato dall’operatore statale del gasdotto di Türkiye Petroleum Pipeline Corporation (Botas) con la società statale di petrolio e gas dell’Algeria Sonatrach in base al quale la Turchia continuerà ad acquistare 4,4 miliardi di metri cubi di gnl dall’Algeria. Al contempo il gas, copioso, presente nelle acque di Cipro resta bloccato per via del mancato accorso sul gasdotto Eastmed: non solo ostacoli tecnici ma soprattutto inciampi bloccano Nicosia nel diventare produttore ed esportatore di gas naturale dopo le scoperte degli ultimi anni.

Ecco che, osservando la cartina del Mediterraneo orientale con gli “occhi” ucraini e israeliani, emergono due quesiti. Il filo, che resta solidissimo, tra il blocco composto da Russia, Cina, Iran e Turchia come potrà non influenzare le dinamiche energetiche di Ue e Usa attese da una tornata elettorale significativa? E come le ambizioni mai sopite di Cina e Russia (affiancate da Turchia e Iran) in due fronti delicatissimi come Caucaso e Balcani potranno essere calmierate dall’Occidente (con l’Italia non più spettatore), anche al fine di impedire nuove e deleterie tensioni?

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