Tra fine novembre e dicembre ci saranno altri due vertici europei decisivi per l’approvazione del nuovo Patto di stabilità. Se non si arriva a un compromesso entro fine anno si rischia di tornare al vecchio “Patto”, ben più rigido di quello in discussione. L’opinione di Pedrizzi
Prima una cena il prossimo 7 dicembre e poi l’ultimo Ecofin di quest’anno potrebbero veder raggiunto l’accordo sulle nuove regole di bilancio. Al momento siamo alle ultime dichiarazioni di Giorgia Meloni, il presidente del Consiglio, che ha incontrato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, il premier croato Andrej Plenkovic’ e i leader di Polonia e Malta ed ha affrontato oltre che la questione dei balneari e del Mes, sopratutto il tema della riforma del Patto di stabilità dichiarando: “Sulla riforma del Patto penso che serva un rush finale. Si stanno facendo passi in avanti perché ci si rende conto che il ritorno alle vecchie regole sarebbe esiziale, ma i passi sono ancora insufficienti”.
“Ci sono – ha aggiunto – tantissimi Paesi che la vedono come noi, per cui bisogna vedere quale sarà il risultato di queste alleanze variabili. Preferisco non essere nella condizione di dover rispettare un patto, che, diciamo, non ho votato… ma non credo che arriveremo lì”.
“Quando cito il tema delle transizioni vuol dire Pnrr – ha proseguito – . Sappiamo che una volta che lo mettiamo a terra avrà per noi un moltiplicatore positivo, ma oggi è sopratutto un impegno e una spesa, sarebbe come far pagare il conto alle nazioni virtuose. Quegli investimenti e quel lavoro che siamo facendo è frutto di un’iniziativa europea e in qualche maniera questo deve essere tenuto in considerazione. Sarebbe folle per noi dire che ci va bene una soluzione che non è sostenibile, sarebbe controproducente per la nazione che rappresentiamo”.
Su questa posizione ed in particolare sul punto che divide – Germania e alleati da una parte, Francia, Italia e i loro alleati dall’altra – c’è la gestione del deficit. Sul debito, invece, di fatto, tutti hanno ormai accettato la richiesta tedesca: secondo la quale tutti i governi europei dovranno comunque ridurre il debito pubblico almeno dell’1% del prodotto lordo all’anno.
In sintesi la nostra premier ha chiesto praticamente che si tenga conto degli investimenti strategici, dalla transizione verde e digitale alle spese per sostenere militarmente l’Ucraina, sapendo bene che il ritorno alle vecchie regole sarebbe esiziale per la nostra economia.
Si dice al governo: “Non siamo soli e abbiamo validi partner, un’intesa prima della fine dell’anno è raggiungibile. Ci sono tutta una serie di Stati, compresi Francia e Spagna, che chiedono insieme all’applicazione di nuove regole in qualche modo l’introduzione di una golden rule su alcune spese di investimento sopratutto quelle considerate strategiche dalla stessa Commissione”.
E si ribadisce che l’Italia chiede lo scorporo degli investimenti su transizione green e digitalizzazione, oltre che quelli relativi alla Difesa, i settori che vengono considerati strategici e passibili di regole a parte, anche dalla Commissione: “Non ha senso che questo tipo di investimenti, finisca con il fare nuovo debito, sarebbe davvero un paradosso”. “È cruciale che gli aggiustamenti delle regole di bilancio non arrechino danni agli investimenti”.
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti ha precisato: “Gli aspetti metodologici e tecnici non devono prevalere rispetto alle considerazioni politiche. Siamo aperti alla discussione, tenendo in considerazione che ciascuno ha le sue specificità. Dobbiamo porre attenzione agli investimenti strategici come naturale presupposto per la crescita, investimenti per la transizione ambientale e digitale. Inoltre bisognerebbe incentivare anche investimenti sulla Difesa”. “La crescita – ha aggiunto – è necessaria, per avere un debito sostenibile, senza crescita non c’è sostenibilità del debito, quindi la stabilità è importante in periodi di instabilità, ma la crescita è fondamentale per la sostenibilità”.
Tra fine novembre e dicembre, dunque, ci saranno altri due vertici europei decisivi per l’approvazione del nuovo Patto di stabilità. Se non si arriva a un compromesso entro fine anno si rischia di tornare al vecchio “Patto”, ben più rigido di quello in discussione.
Persino Bruxelles, negli ultimi tempi, sta discutendo di un Patto più soft rispetto a quello precedente. La soluzione ideale sarebbe una deroga per altri due, tre anni o addirittura rinunciare del tutto al Patto di stabilità.
Ma, invece, arrivano da più parti segnali preoccupanti. Infatti se avessi avuto dei dubbi sul nuovo patto di stabilità i ricatti più o meno simulati o “Mes o Patto di stabilità” me li hanno fugati: da una parte troviamo i grandi mezzi d’informazione che fanno capo alle elites finanziarie più o meno nazionali: con il supporto dei partiti che una volta difendevano il popolo ed oggi, invece, sono dalla parte della grande finanza e dell’Europa dei burocrati e della Commissione.
Basta leggere Repubblica che ha titolato: “L’Italia ratifichi il Mes o niente patto di Stabilità”. In sintesi: il Parlamento italiano non ratifica la riforma del Mes (Meccanismo economico di stabilità)? E allora niente riforma del Patto. Ed Elly Schlein: “Trovo incredibile che questo governo non abbia ancora ratificato il Mes: ne va della credibilità del nostro Paese. L’esecutivo abbandoni la demagogia da quattro soldi e pensi seriamente alle ricadute sulla credibilità dell’Italia mentre si siede al tavolo di riforme importanti come quella del patto di Stabilità”. “Io il Mes lo voto tutta la vita e spero lo voti anche il Pd, perché se non si sono rimbambiti lo votano. Io sono per il Mes sanitario”, ha detto anche l’ex premier Matteo Renzi e potremmo continuare all’infinito se volessimo riportare tutte le dichiarazioni intimidatorie ed i messaggi trasversali dei vari Gentiloni, commissario europeo per gli affari economici e monetari, che naturalmente gioca a forzare la mano al governo Meloni: “Il tempo non è illimitato. Le posizioni di ciascun Paese sono assolutamente legittime ma poi c’è un calendario che ci impone di concludere questa intesa quest’anno”. “Sicuramente, se si raggiunge un accordo sulle nuove regole di bilancio, ci sarà un assestamento tra la fase attuale e la fase successiva. Se non si raggiunge un accordo sulle nuove regole, tornano in vigore le regole precedenti”.
Alle “raccomandazioni” di Gentiloni ha fatto eco l’ex premier Mario Draghi, presidente della Bce, governatore della Banca d’Italia e direttore generale del Tesoro.: “Scivolare passivamente nelle vecchie regole fiscali sarebbe il peggior risultato possibile”, ha scritto Draghi in un intervento su The Economist. “L’Europa ha bisogno di nuove regole e una maggiore condivisione della sovranità”. “Le regole attuali portano a politiche troppo lasche nei periodi di boom e troppo rigide nei periodi di crisi”. “La soluzione è trasferire più poteri di spesa al centro”. “L’assunzione di prestiti e la spesa a livello federale porterebbero a una maggiore efficienza e al un maggiore spazio fiscale, in quanto i costi di indebitamento aggregati sarebbero più bassi” e “mettere in comune una maggiore sovranità e richiederebbero quindi nuove forme di rappresentanza e di processo decisionale centralizzato”.
Queste impostazioni però, andrebbero a disattendere, se non addirittura in rotta di collisione con la filosofia e con l’orientamento che la V Commissione programmazione economica e Bilancio del Senato ha comunicato al Parlamento Europeo, al Consiglio, alla Banca Centrale Europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle Regioni. Orientamenti e suggerimenti che se portati in sede di trattativa europea potrebbero essere utili allo sviluppo economico del nostro Paese.