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Israele e l’uso della forza, lezione ai pacifisti “a prescindere”

Israele capisce che se mostra debolezza otterrà un solo risultato: verrà spazzata via, al fine di chiudere ingloriosamente quel sogno novecentesco figlio dell’emozione (presente solo in Europa peraltro) e del senso di colpa per la Shoah. L’analisi di Roberto Arditti

A un mese dalla drammatica giornata del 7 ottobre cosa si intravede per il futuro? Qualcosa si può dire, pur nella complessità spaventosa della situazione. Siccome però il ragionamento e le evidenze che saranno qui proposti saranno molto crudi, occorre quantomeno chiarire che comunque siamo dentro una tragedia e che i morti, tutti i morti, meritano rispetto.

Al tempo stesso però sarebbe ipocrita negare che la storia, sì proprio quella che si studia anche nei libri di scuola, è un viaggio nel tempo che racconta di fatti quasi sempre pieni zeppi di morti, tragedie e soprusi. Quindi a poco serve ragionare con retorica compassionevole: gli umani si massacrano tra loro da millenni e non sembrano aver deciso di smettere.

A un mese dal 7 ottobre dunque cosa possiamo dire, cercando di guardare al futuro?

Possiamo fare almeno due constatazioni, capaci poi di portarci ad una (minima) conclusione. La prima constatazione è che la strategia omicida di Hamas è tanto mostruosa quanto efficace. Uccide l’ebreo in quanto tale, interpretandolo come perfetto rappresentante di tutto ciò che è diverso da sé, alla ricerca di un dominio politico, economico e religioso che non ammette compromessi e che intende affermarsi con l’uso della violenza sempre e comunque, meglio se accoppiata ad una causa (come quella del popolo palestinese) per molti versi giusta.

Hamas sta facendo la sua partita, assetata di sangue altrui ma anche pronta a cavalcare l’onda di indignazione per il proprio sangue versato: cerca, desidera, provoca la morte di migliaia di palestinesi perché sulla rabbia collettiva che ne discende trova linfa vitale per nuove reclute, nuovi martiri, nuove missioni di morte per gli anni a venire, probabilmente già in preparazione. A tutto ciò si associa perfettamente un poderoso ritorno di sentimenti anti-ebraici, che si fanno strada in tutto il mondo amplificati dai tanti che lavorano per un futuro dominato dal caos (compresi vari Capi di Stato).

A fronte di tutto ciò c’è la risposta militare israeliana, mai così dura, mai così brutale.

Ebbene qui occorre guardare con attenzione ai fatti ed aprire le menti ad un punto di vista poco comprensibile per noi europei contemporanei. Il Medio Oriente è terra di raffinati equilibri etnici e religiosi, ma è anche un angolo del mondo dove senza uso della forza sei spacciato in partenza. Le monarchie del Golfo, il generale del Cairo, il condottiero di Ankara, il re di Giordania, gli ayatollah di Teheran: cosa li accomuna?

La convinzione profonda che nulla della loro leadership, dei loro progetti e del loro potere, potrebbe restare in piedi senza muscoli poderosi e pronti all’azione. Il tutto senza pietà, senza arzigogoli diplomatici, senza ghirigori politici. Ecco allora che la violenta risposta militare israeliana (che produce morte e distruzione ogni giorno) diventa elemento tragicamente indispensabile per esistere da quelle parti ed anzi può rivelarsi tassello persino utile nel cercare un futuro equilibro capace di dare qualcosa di buono per tutti.

Lo hanno capito gli americani, che, pur nella ricerca di limitare i danni, stanno assistendo militarmente Israele con una evidenza del tutto nuova. Ma lo stanno capendo anche i più avveduti interlocutori del mondo islamico. Arabia Saudita, Egitto, Giordania e Emirati Arabi ad esempio, espliciti nelle variegate dissociazioni da Hamas. Ma anche la Turchia di Erdogan, che cavalca la causa palestinese più per cercare un ruolo di mediatore (si ricordi il vertice dei primi di marzo 2022 tra russi e ucraini) che per adesione alla logica del tanto peggio tanto meglio. Ed in fondo mostra di averlo compreso persino il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, il cui discorso di venerdì è stato tanto furibondo contro Israele quanto privo dell’ordine di attaccare da nord per alleggerire la pressione militare su Hamas.

Due evidenze dunque, apparentemente in contrasto, ma figlie dello stesso clima geopolitico e dello stesso momento storico. La bufala del mondo dominato dalla finanza e quindi pacifico per definizione non regge all’evidenza della cronaca che si va facendo storia.

I protagonisti del nostro tempo (Cina, India e molti altri) stanno costruendo apparati militari imponenti e lo faranno sempre di più. Israele capisce (al netto dei suoi precari equilibri politici e di un primo ministro che ha probabilmente fatto il suo tempo) che se mostra debolezza (e il 7 ottobre lo ha fatto, con una prova drammatica di vulnerabilità) otterrà un solo risultato: verrà spazzata via, al fine di chiudere ingloriosamente quel sogno novecentesco figlio dell’emozione (presente solo in Europa peraltro) e del senso di colpa per la Shoah.

A noi europei spetta di capire il tempo in cui viviamo. Non ci sarà spazio per chi non sa o non vuole difendersi per davvero.



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